Prosegue lo sfoggio di muscoli fra Corea del Nord e Stati Uniti. Da una parte, Kim Jong Un insiste coi test di bombe e missili balistici intercontinentali, dall’altra Donald Trump e il suo segretario di Stato Rex Tillerson moltiplicano le dichiarazioni bellicose avvisando che la “pazienza strategica” degli Stati Uniti è terminata. Intanto aumenta la tensione anche ai confini della Corea del Nord, situata in uno dei punti più caldi del globo fra Cina, Giappone, Corea del Sud e Russia.
Il programma nucleare militare e missilistico di Pyongyang – nonostante gli evidenti dilettantismi – è oggi considerato come il principale problema di sicurezza internazionale del pianeta. Il regime ha portato a compimento cinque test nucleari negli ultimi dieci anni e numerosi lanci di missili balistici. L’obiettivo è stato più volte dichiarato in modo esplicito: mettersi in condizioni di poter lanciare testate nucleari contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, dalla Corea del Sud a Israele, senza escludere il Giappone.
Tutti gli osservatori hanno quindi gioco facile nel dimostrare le intenzioni aggressive nordcoreane e nel richiedere di sbarrare definitivamente la strada ad un regime totalitario. Ma – tolti i consulenti di Washington – pochi esperti scommettono seriamente sul rischio che la Corea del Nord inizi volontariamente una reale guerra nucleare contro la Corea del Sud o contro gli Stati Uniti. Il regime di Pyongyang commetterebbe un suicidio nazionale, perché un atto aggressivo così estremo scatenerebbe rappresaglie congiunte che garantirebbero la totale distruzione del Paese.
I militari nordcoreani sono oggi altrettanto terrorizzati dalle rappresaglie nucleari quanto lo sono stati gli stessi Stati Uniti, l’Unione Sovietica e la Cina per l’intera durata della Guerra fredda. Se il vero obiettivo della Corea del Nord non è quello di suicidarsi scatenando una guerra nucleare, è possibile che la costruzione di un arsenale atomico abbia l’obiettivo di prevaricare le nazioni più vicine? Alcuni osservatori pensano che il possesso di armi nucleari possa indurre alcuni Stati a comportarsi in modo coercitivo a livello militare convenzionale, perché questi sanno che le vittime delle loro aggressioni si asterranno da pericolose rappresaglie su ampia scala.
Ma gli analisti Todd S. Sechser e Matthew Fuhrmann, nel recente libro Nuclear Weapons and Coercive Diplomacy, dimostrano che è falso. Analizzando masse di dati tratte da centinaia di situazioni reali, hanno osservato che gli Stati in possesso di armi nucleari non hanno dimostrato, per questo, una maggiore efficacia nel risolvere a proprio vantaggio le dispute territoriali. Non iniziano azioni militari più frequentemente, non aumentano più spesso di altri il livello degli scontri già in atto, non risultano più efficaci nemmeno nel minacciare gli avversari. In breve: il possesso di arsenali atomici non offre alle nazioni nucleari alcun vantaggio coercitivo.
Anche la storia recente mostra che la Corea del Nord non fa eccezione a questo andamento sperimentale: già in passato Pyongyang ha tentato la strada della prepotenza nucleare. Subito dopo il terzo test nucleare, nel febbraio 2013, Kim Jong Un minacciò di bombardare la Corea del Sud e anche gli Stati Uniti con “piccole armi nucleari”. In risposta, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu impose ulteriori sanzioni economiche a quelle già esistenti. Il leader supremo reagì rilanciando: stracciò unilateralmente l’armistizio del 1953 (dopo la guerra di Corea non era stata firmata la pace ma solo un cessate il fuoco) e minacciò di “esercitare il diritto a un attacco nucleare preventivo allo scopo di distruggere le roccaforti degli aggressori”. L’obiettivo del rilancio era rendere la minaccia nucleare più credibile e forzare la comunità internazionale a cancellare le devastanti sanzioni economiche che stavano strangolando la nazione.
Ma non funzionò: nessuno credette al bluff nordcoreano, furono imposte sanzioni ancora più pesanti e proseguì con rinnovato vigore il programma di esercitazioni militari congiunte fra Seul e Washington. Nella storia degli ultimi settanta anni, le armi nucleari si sono dimostrate utili solo per uno scopo: la deterrenza. La determinazione della Corea del Nord di entrare in possesso di armi nucleari nasce dalla paura scatenata, fra gli altri, proprio dagli Stati Uniti che hanno più volte – anche molto prima di Trump – promesso che avrebbero rovesciato lo scomodo regime.
Un credibile programma nucleare di Kim Jong Un può avere solo due scopi pratici. Da una parte, è una formidabile arma propagandistica destinata alla sua politica interna e all’eliminazione di qualsiasi potenziale opposizione o tentativo di golpe militare ai suoi danni. Dall’altra, in politica estera, la protezione del regime stesso dall’invasione o dalla più probabile distruzione. Ma non può avere l’obiettivo di dare maggior credibilità alle minacce contro i propri nemici.
Tutto ok quindi? Purtroppo no. Per rendere il ragionamento completo mancano due importanti fattori. Il primo è che, in generale, l’aumento della proliferazione degli Stati in possesso di armi nucleari non può certo essere considerato un bene per la pace e la stabilità dell’intero pianeta. Ai ragionamenti precedenti, infatti, devono essere aggiunti i fattori accidentali o gli errori di valutazione. Durante tutta la Guerra fredda si sono succeduti momenti da brivido in cui un errore nei sistemi di rilevamento segnalava un inesistente lancio di missili e – spesso solo per un capello o per il sangue freddo di qualche sottufficiale – abbiamo evitato che a questo errore tecnico si rispondesse con un lancio immediato e concreto di tutte le testate disponibili.
Il secondo è che tutti i ragionamenti precedenti valgono per i regimi guidati da una leadership razionale. Il futuro e l’esistenza stessa della Corea del Nord sembrano essere nelle mani di un pazzo scatenato. Il giorno che si sveglierà più storto del solito, i suoi generali riusciranno a bloccarlo e, magari, coglieranno l’occasione per metterlo finalmente in condizioni di non nuocere? Mi chiedo come si traduca in coreano il vecchio adagio: “I cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai”.