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Papa Francesco, il futuro delle grandi civiltà e le vittorie dell’Isis

Papa Francesco

Le grandi civiltà, le grandi culture, non possono essere assassinate, ma suicidarsi sì, questo possono farlo. Lo stress uccide: uccide le persone e può portare al suicidio anche le grandi civiltà, o culture. Questa banale osservazione è al cuore del successo di papa Francesco come autorità morale del nostro tempo. In Bergoglio è difficile non cogliere la forza rigeneratrice dell’esame di coscienza. È quello che altri hanno chiamato “l’autocritica” e che oggi dovrebbe guidare tutte le grandi culture e civiltà davanti all’enormità degli odierni accadimenti.

È l’esame di coscienza che dovrebbe guidare la cultura araba, la cui politica sembra giunta al tracollo, capace di produrre solo dittature sanguinarie e terrorismi: è l’esame di coscienza che dovrebbe guidare la cultura slava, la cui politica sembra capace di dar vita soprattutto a preoccupanti autoritarismi: è l’esame di coscienza che dovrebbe  la cultura euro-occidentale, incapace di salvaguardare la società del vivere insieme. Solo partendo da noi stessi potremo interpellare gli altri, e criticarli anche, ma sicuri di comunicare la costruttività dell’intento. Siamo infatti ad uno snodo drammatico che potrebbe essere anche presentato come il momento di crisi dell’epoca democratica, o l’inizio di quella post-democratica. Questo snodo è segnato dalla centralità del nemico di tutti, tanto nemico e tanto centrale da indurre alla legittima domanda: ma non è questo nemico un “nemico indispensabile”?

Sto, ovviamente, parlando dell’Isis, o se si preferisce del terrorismo che usa la religione. Ma davanti a tutto questo nessuno propone una lettura che parta anche dall’autocritica, “l’esame di coscienza” di Jorge Mario Bergoglio. Ecco che ognuno vede attraverso le lenti della propria visione ideologica, nella quale le idee plasmano i fatti e le colpe sono sempre altrui. Il terrorismo in questo è maestro! Abbandoniamolo e vedremo che, oggettivamente parlando, senza ricorrere a dietrologie, solo il terrorismo avrebbe potuto consentire al leader egiziano al-Sisi di ripristinare lo stato d’emergenza senza critiche: solo il terrorismo avrebbe potuto consentire al leader siriano di usare il gas anche contro bambini senza che l’Onu (costretto guarda caso a lasciare il paese nel 2012) potesse certificarlo. Solo il terrorismo avrebbe potuto consentire che passassero quasi inosservati i lager per omosessuali nella Cecenia russa. Solo il terrorismo avrebbe potuto fare dell’Europa un gendarme intimorito  e insospettito da chi fugge da persecuzione.

Non servono dietrologie, illusioni di grandi complotti, basta la realtà a dirci che proprio in questi esiti c’è la vera vittoria dell’Isis: studiando i fatti del primo Novecento oggi viene spontaneo dirsi, “ma come è possibile che ragionassimo così!” Non c’è il rischio che tra 100 anni succeda lo stesso? Le grandi civiltà non possono essere uccise, ma possono suicidarsi. Gli arabi si erano rivoltati contro il disprezzo dell’individuo che governava i loro Paesi; gli slavi si erano rivoltati contro il totalitarismo sovietico; gli occidentali avevano fatto di Willy Brandt e del suo inginocchiarsi, il 7 dicembre 1970, nel ghetto di Varsavia, il proprio paradigma. Se tutto questo è stato possibile vuol dire che lo è anche oggi. Sì, possiamo vincere e per riuscirci anche oggi servirebbe unirsi, partendo ognuno da sè. Quest’unione non potrebbe risolvere tutto come d’incanto ma ci direbbe certamente che empatia e nonviolenza sono i cardini per ripartire.



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