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Khamenei sega la candidatura di Ahmadinejad perché troppo polarizzante

Alla fine Mahmud Ahmadinejad non sarà tra i candidati ammessi alla corsa presidenziale in Iran. La Tv di Stato iraniana ha annunciato giovedì che il Consiglio dei Guardiani, organo composto per metà da teologi che rispondono alla Guida Suprema Ali Khamenei e per metà da giuristi nominati dal parlamento, ha escluso il suo nome dai sei che si troveranno sulle schede il 19 maggio – la lista completa degli ammessi sarà ufficializzata nei prossimi giorni.

La notizia, più che altro, è che anche il suo vice storico, Hamid Baghaei, è stato escluso. Per quanto fosse la più sorprendente tra le oltre 1600 (tanti erano gli iscritti per essere selezionati dal Consiglio come candidati), la candidatura di Ahmadinejad era stata ritenuta quasi impossibile da molti analisti, visto che già Khamenei aveva fatto sapere pubblicamente di non volere l’ex presidente in corsa per evitare troppe polarizzazioni. Per questo l’iscrizione alla lista dei potenziali sfidanti era sembrata una mossa strategica del leader dalla linea più aggressiva di tutti per far passare almeno la candidatura di Baghaei. Così non è andata ed entrambi resteranno fuori.

Khamenei ha già un cavallo su cui puntare, si tratta di Ebrahim Raisi, leader della linea dura che vanta discendenze con il Profeta e che piace tanto alla teocrazia, ai Guardiani, ai conservatori. Il chierico Raisi è un falco aggressivo con l’Occidente, ma più potabile di Ahmadinejad, considerato ormai come l’uomo che ha portato l’Iran allo scontro diretto con la Comunità internazionale a causa della volontà di spingere sul programma nucleare, è visto come troppo divisivo anche dai teorici più reazionari e mantiene la presa solo su alcuni gruppi più fanatici.

Raisi è colui che si è messo di traverso tra Hassan Rouhani e il suo secondo mandato. L’attuale presidente è stato eletto nel 2013 con una piattaforma che mirava a togliere la Repubblica islamica dall’isolamento diplomatico e a costruire una società aperta. A due anni dall’elezione, nel 2015, Rouhani ha potuto vantare il raggiungimento parziale di uno degli obiettivi, avendo chiuso un accordo internazionale che congela il programma nucleare militare e sblocca parte delle sanzioni che pressavano l’economia iraniana.

Ora l’amministrazione americana, una delle parti che ha firmato quell’accordo, sembra metterlo in discussione e ne ha ordinato una revisione che potrebbe comportare anche l’avvio di nuove sanzioni. Un elemento che potrebbe muovere a favore delle posizioni più radicali, creando un forte argomento di contrasto alle policy di Rouhani. Uno dei temi centrali della campagna elettorale sarà la situazione economica, che dicono i critici del deal nucleare stenta comunque a ripartire, perché l’Occidente ci ha fregato, si è preso il nostro programma, ma continua a boicottarci.

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