Fatima oggi parla al mondo della nostra storia comune. Non di quella morbosa, la storia di chi brandisce presunti misteri nascosti per farne un’arma segreta, ma la storia di centinaia di milioni di uomini, di ogni parte del mondo, che Papa Francesco ha saputo portare con sé nel santuario mariano implorando la Vergine di guardare i “dolori della famiglia umana” e di dargli la grazia di poter seguire “l’esempio dei Beati Francesco e Giacinta, e di quanti si consacrano all’annuncio del Vangelo”, per andare pellegrini, abbattere i “muri”, superare “ogni frontiera”, “uscendo verso tutte le periferie, manifestando la giustizia e la pace di Dio”.
C’è la sofferenza, non quella “ideologica”, ma quella concreta, incarnata, cioè la vera sofferenza dei veri sofferenti, nella Fatima di Jorge Mario Bergoglio. E non solo quella dei credenti. Lo ha detto chiaramente durante l’omelia della messa di canonizzazione: “Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarLe i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i disabili, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. Carissimi fratelli, preghiamo Dio con la speranza che ci ascoltino gli uomini; e rivolgiamoci agli uomini con la certezza che ci soccorre Dio”.
Qui spiccano i fratelli in umanità, espressione semplice, piana, elementare, e quindi commovente. Chi parla di fratelli in umanità? Chi oggi si riferisce a noi, cittadini del terzo millennio, come suoi fratelli in umanità? Dicendolo Bergoglio ha abbattuto tutti i muri: muri di fede, tra cristiani, ebrei, musulmani, animisti, induisti e così via, tutti diversi, certamente, ma certamente tutti uguali perché tutti fratelli in umanità, e muri etnici, tra europei, americani, africani, arabi, bianchi, neri, gialli, tutti diversi, certamente, ma certamente tutti uguali perché tutti fratelli in umanità. Più uguali tra loro sono i “veri” diversi, i sofferenti: i malati, i disabili, i detenuti, i disoccupati, i poveri, gli abbandonati. Tutti diversi ma tutti “più uguali” perché uniti anche da altro: dalla malattia, dalla disabilità, dalla detenzione, dalla povertà, dall’abbandono.
Così lo sguardo di Fatima, con Papa Francesco, è uno sguardo incarnato, senza presunti misteri da svelare, ma con miliardi di misteri veri da accarezzare, amare, confortare, e soprattutto riconoscere. Quello che non sa fare la politica. Una politica che anche davanti allo stupro non sa guardare la vittima, anzi, sembra dimenticarla, per fare impossibili graduatorie tra i colpevoli, mentre lei, la vittima, esce di scena, dimenticata. E’ stato così anche con il rogo di Centocelle: chi ha prestato attenzione alle vittime, a dove vivevano, a come vivevano? E chi ha prestato attenzione ai tratti somatici dell’assassino? Come per dire, “era uno di loro, non è successo niente”… Oppure per dire “si usi la mano dura”, lasciando due bimbe e una ragazza, che vivevano con una mezza dozzina di parenti e sono morte bruciate vive nella capitale d’Italia in un camper, sparire nei sottotitoli dell’indifferenza. Quell’indifferenza, ha detto papa Francesco a Fatima, che ci raggela il cuore.