Che a Milano non ci siano muri, è solo una buona notizia. Che ci sia una giunta impegnata, da tempo, in un programma d’accoglienza, nel momento difficile attraversato dal Mediterraneo e in un’Europa sempre più divisa e permeabile a movimenti nazionalisti, anche questa è una buona notizia.
Qualcuno potrebbe chiedermi dove siano le cattive, di notizie. E io potrei rispondere che per il momento non ne vedo. Ci sono però degli interrogativi, che mi inquietano e non poco e che non possono essere liquidati con l’espressione “tutte le città hanno i loro problemi”. Perché Milano da sabato non è più una città come le altre. Si è incoronata la capitale italiana dell’accoglienza, con tutto il coraggio che ci vuole a fare una cosa del genere in un momento come questo. Ma ha una doppia sfida davanti. Non solo quella di rappresentare un modello a livello nazionale, ma anche fare in modo che per primi ci credano i milanesi, soprattutto i più sfortunati e che questi ultimi non pensino che per abbattere un muro (che proprio non dovrebbe sorgere, per quanto mi riguarda) se ne costruisca uno che tiene fuori loro.
Il problema sta anche nella retorica con la quale il successo di sabto è stato raccontato e con quella sensazione, che mette non poco a disagio, che chi osi sollevare anche solo una perplessità sulla manifestazione di sabato, venga automaticamente bollato come un razzista, anche se le sue scelte di vita dicono esattamente il contrario. C’è poi un secondo elemento di disagio: vedere delle crepe quando la maggior parte, completamente galvanizzata dal successo di domenica, è convinta di vivere in una sorta di iper uranio.
Ora, Milano è sicuramente più fortunata, più dinamica e più propositiva di altre città. Ma i problemi e le tensioni ci sono e in un periodo come questo possono solo peggiorare. La mia impressione è che chi mi ha attaccato in queste ore per aver detto quello che penso, non abbia mai fatto un giro al Corvetto o peggio ancora nella zona di Viale Aretusa. O non sia mai stato in alcuni parchi milanesi la domenica pomeriggio.
Il problema è che più una città si considera superiore alle altre più paradossalmente le magagne vengono a galla. E a farle venire a galla rischia di essere quella parte della città che non è contenta e che gli organizzatori o i sostenitori della manifestazione si ostinano a non vedere.
C’è poi il discorso politico, nel quale eviterei volentieri di entrare, ma non posso esimermi. Si è organizzata una marcia su un tema importantissimo, ma dove c’è un’altra parte di città che sta malissimo. Forse da certi angoli non si vede, perché a Milano i soldi continuano a girare copiosi, ma è proprio dove continuano a girare i soldi in periodi di crisi che si vedono le maggiori ingiustizie sociali. Se posso dare un umile consiglio al sindaco Beppe Sala proverei a scambiare due parole anche con queste persone. Trovarle non è difficile, molti anziani chiedono la carità anche dietro Piazza del Duomo.
L’impressione è quella di una sinistra, o qualunque cosa questa sia, che come sempre ragiona a compartimenti stagni, senza riuscire talvolta a rivolgersi alla collettività. Nel 2018 si vota per regionali e politiche, quindi questa può essere una scelta ben precisa a livello elettorale, che però comporta altrettanti rischi.
Quello più rilevante, sul breve termine, è che Milano si divida in favorevoli, scettici e contrari nei confronti della manifestazione di sabato, dove i secondi e i terzi passeranno automaticamente come razzisti e nemici del popolo. Mi chiedo se per una città vi sia qualcosa di peggio.
Ps. Ho ascoltato con grande interesse le parole del sindaco Sala. Da questo momento, mi aspetto un suo impegno concreto, in tutte le sedi che riterrà opportune, per fare saltare l’accordo sui migranti firmato dall’Europa e quindi anche dall’Italia, con la Turchia. Accordo firmato per altro da un governo di centro-sinistra.