Eccoci di nuovo qui. Eccoci di nuovo a commentare l’ennesimo attacco bellico dell’Isis contro l’Occidente, contro l’Europa, contro di noi.
L’attentatore suicida si è appostato ieri sera nel foyer della Manchester Arena prima di farsi saltare in aria, guardando probabilmente negli occhi tanti giovani spensierati e felici che entravano per assistere al concerto di Ariana Grande, una delle artiste musicali più amate dagli adolescenti. La crudeltà e la bestialità veramente non si riescono a restituire in parole in questo caso.
Per il resto non vi sono particolari novità rispetto ai precedenti efferati, nessuna originalità nell’uso del suicidio di guerra: perciò non vi è neanche desiderio da parte di chi scrive di introdurre un’inutile retorica pacificatrice non sentita o un vuoto sentimentalismo comprensivo verso mandanti ed esecutori.
Questo conflitto è così, si perpetra a danno di persone inermi, quanto più indifese tanto meglio, e viene fatto senza alcuna strategia di futuro negoziato, senza una finalità, religiosa o politica che sia, ma soltanto per ferire, uccidere, diffondere al massimo livello di professionalità sofferenza e disprezzo radicale per quella parte di mondo che siamo noi, la quale da sempre ha identificato invece nell’apertura e nell’accoglienza il senso dei propri valori democratici, condividendo con l’intero genere umano i propri diritti fondamentali.
Indubbiamente questo attentato non è stato come prendere un autobus e buttarsi fra la folla, ma ha avuto bisogno di una lenta preparazione, di un’incubata professionalizzazione del suicidio che ha richiesto di inculcare lentamente convinzioni assolute, disprezzo perseverante per ogni pietà, trattamento plagiante della psiche del combattente fino a renderlo un automa esecutore materiale di strage, tanto insensibile al prossimo da non avere cedimenti e ripensamenti.
Questo è l’aspetto più tragico e traumatico su cui riflettere. Quando il suicidio è l’arma utilizzata, si vuole in fondo ammazzare se stessi, il proprio orizzonte di senso, la propria realtà e tutto ciò che la circonda. E tale è perciò anche il punto da cui partire per cogliere le ragioni particolari che permettono all’Isis di arruolare persone per assassinare uccidendosi, perpetrando il misfatto dell’auto soppressione senza vedere nell’altro una persona uguale a se stessa, senza riconoscere in tanti giovani che entrano in uno stadio niente altro che degli alieni, dei fantasmi che non esistono se non nella propria mente lobotomizzata dal culto del finto martirio, nell’immaginazione cieca di chi riesce ad uccidere esseri umani innocenti perché ritenuti già morti, molto prima di doverli barbaramente massacrare.
Per tanto tempo abbiamo pensato che i secoli bui fossero sepolti nel passato, ma quello che sta accadendo agli europei in questi anni è molto, molto peggio di quanto nel Medioevo si potesse anche soltanto immaginare.
Uccidere chi si odia perché si conosce, è un fatto orribile. Farlo per chi si odia anche senza conoscerlo, è bestiale. Ma diventare un kamikaze, per portare con il proprio suicidio la propria morte a persone colpevoli solo di esistere ed essere andati ad un concerto, segna un passaggio non ancora raggiunto di disumanizzazione, e purtroppo non ancora compreso fino in fondo nel suo significato ultimo.
Emerge da questo atto un disprezzo per la felicità altrui, un bisogno di portare il male laddove non c’è, un’invidia tradotta in ostilità, generato da tanta frustrazione e dall’accettata incapacità di essere all’altezza della propria dignità personale: un rigetto di umanità che si presuppone invano vi sia in ognuno anche quando manca tutto il resto.
Se c’è una cosa chiara è che qui Dio proprio non c’entra. La sua negazione invece compare a pieno. Questa guerra ha un solo idolo ed è l’opposto del sacro, è il male; e un solo metro che è il proselitismo demoniaco dell’orrore. Nessuno può pensare di ottenere qualcosa così, neanche un folle, semplicemente perché nessuno di questi ignobili psicopatici può considerare minimamente altro che trascinare nella spirale della propria morte spirituale la vita normale di tutti gli altri. Invece di aprire il varco della storia alla trascendenza, qui si ingoia l’immanenza della vita nell’oscurità del proprio nulla.
Certamente, come è stato detto da più parti, nessuno di noi deve rinunciare alla libertà, tutti dobbiamo continuare a vivere e sostenere il lavoro di intelligence e di prevenzione, ma soprattutto dobbiamo tutti sperare di avere giovani che credano ancora, specialmente adesso, alla gioia di vivere e al valore intellettuale che ha la musica, l’arte e la bellezza.
Oggi piangiamo, in definitiva, non soltanto le vittime, ma anche il tentativo sinistro e meschino di distruggere la civiltà occidentale di domani, con i simboli culturali e artistici che la incarnano. E l’Isis perderà sicuramente questa indicibile guerra non perché saremo più bravi e forti, ma perché nella storia dell’umanità il male e la disperazione sono meno vigorosi del bene e del bisogno universale di felicità.