Dopo mesi in cui autorevoli giornalisti continuavano a indicare asetticamente date molto diverse tra loro (tra settembre e novembre inoltrato) come le più probabili per le elezioni anticipate volute da Matteo Renzi senza sollevare dubbi di alcun tipo, finalmente da qualche giorno sono sempre più diffusi articoli in cui si mettono in evidenza i rischi di un voto autunnale. Rischi che riguardano la quasi impossibilità del varo della legge di stabilità nei tempi previsti, manovra che dovrebbe essere piuttosto “onerosa”, e quindi l’eventualità dell’esercizio provvisorio. Lo scorso 30 aprile Formiche.net aveva ricostruito i passaggi obbligatori, a cominciare dalla presentazione del Documento programmatico di bilancio alla Commissione Ue e all’Eurogruppo entro il 15 ottobre, obbligo per tutti gli Stati membri in base a un regolamento Ue del 2013. Eppure qualche giorno fa si è perfino letto che in Europa (chi, precisamente?) non si farebbe molto caso a una bazzecola come l’esercizio provvisorio perché in cambio l’Italia avrebbe una legge elettorale e un governo più forte. Le speculazioni finanziarie dei mercati che nazionalità hanno? E le clausole di salvaguardia che, in assenza di una legge di bilancio che preveda le coperture, farebbero scattare automaticamente l’aumento dell’Iva?
L’entusiasmo delle ultime ore riguarda, com’è noto, l’ipotesi di accordo tra Forza Italia e Partito democratico su una legge elettorale che prende spunto dal sistema tedesco, pur mancandone un pezzo fondamentale come la sfiducia costruttiva: verrebbe fuori un sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento. Nei giorni scorsi Lorenzo Guerini (Pd) sollecitava un’approvazione entro la fine di luglio senza aggiungere il sottinteso, cioè che quella data tassativa consentirebbe in teoria lo scioglimento delle Camere già all’inizio di agosto e quindi un voto anticipato dalla fine di settembre in poi. Il 27 maggio sul Corriere della Sera il capogruppo di FI al Senato, Paolo Romani, ha indicato gli stessi tempi: approvazione della Camera entro giugno e del Senato prima della pausa estiva. Curiosamente nessuno dei due ha fatto cenno a che cosa accadrebbe dopo.
La lettura politica non è un segreto: Matteo Renzi da mesi cerca di andare al voto, subendo diversi stop dal Quirinale, perché è convinto di tornare a Palazzo Chigi e perché non vuole votare subito dopo una legge di stabilità gravida di notizie potenzialmente ferali per chi andasse alle urne in febbraio; Silvio Berlusconi, che possa o meno ricandidarsi in attesa della Corte europea dei diritti dell’uomo, vuole riprendersi un ruolo da dominus della politica; a entrambi, a quanto pare, non dispiacerebbe un governo di larghe intese, di grande coalizione, perfino con intenti costituenti o lo si chiami come si vuole. In questo modo, pensano, i danni saranno solo della Lega di Matteo Salvini da un lato, della sinistra scissionista dall’altro e del Movimento Cinque Stelle da entrambi i lati. Berlusconi il 27 maggio è stato chiarissimo: “Probabilmente manca poco al momento in cui gli italiani potranno di nuovo scegliere da chi vogliono essere governati, se finalmente potremo avere una legge elettorale condivisa che garantisca l’effettiva corrispondenza tra il voto espresso dagli italiani e la rappresentanza in Parlamento. Per chiarire meglio: se un partito ottiene il 20 per cento dei voti deve avere il 20 per cento dei parlamentari”.
Nel frattempo, però, i mal di pancia emergono anche da FI e Pd, oltre che dai centristi di Area popolare che fanno parte della maggioranza di governo e ai quali lo sbarramento al 5 per cento non piace affatto, e le centinaia di emendamenti presentate non garantiscono un fluido iter parlamentare. E’ la struttura esclusivamente proporzionale che non convince perché costringe ad accordi post elettorali senza garanzie di governabilità e il silenzioso e sotterraneo caos delle trattative è dimostrato dal fatto che la proposta “tedesca” è arrivata neanche dieci giorni dopo quella che sembrava una svolta, il misto maggioritario-proporzionale detto Rosatellum dal nome del capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato. Nel frattempo, le fibrillazioni si manifestano anche in altri campi: in commissione Bilancio della Camera il Pd si è spaccato e l’approvazione degli strumenti per regolare il lavoro occasionale al posto dei voucher è avvenuta grazie a FI e Lega, mentre i sostenitori di Andrea Orlando hanno abbandonato i lavori per non votare contro come invece hanno fatto Mdp, Sinistra italiana e M5s.
A prescindere dagli entusiasmi, quindi, l’impressione è che la strada per la nuova legge elettorale sia ancora lunga e che continui a mancare una spiegazione basilare da dare agli elettori: quale sarebbe la convenienza per l’Italia (e non per alcuni partiti) nel votare tre o quattro mesi prima della naturale scadenza di febbraio.