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Perché Stefano Parisi non riuscirà a far cambiare idea a Silvio Berlusconi

Qualcuno deve aver fatto credere a Stefano Parisi, già candidato berlusconiano a sindaco di Milano, di essere il Macron italiano. Vuole cambiare Berlusconi e Salvini (Meloni non viene menzionata!) per fare un governo di centrodestra in opposizione a Renzi e ovviamente a Grillo. Ma il suo ragionamento fa acqua da tutte le parti sia sul piano strettamente politico che dal punto di vista dell’economia. L’unica cosa condivisibile è l’intenzione di arginare i 5 stelle la cui demagogia rischia di precipitare l’ Italia nel caos più o meno come sta avvenendo in Venezuela.

Dal punto di vista politico non si capisce per quale ragione gli elettori di centrodestra dovrebbero preferirlo al vecchio e sperimentato Berlusconi, che comunque mantiene un seguito rilevante di appassionati sostenitori, e che in campagna elettorale riesce a dare il meglio di sè. Salvini poi dovrebbe rinunciare al lepenismo sovranista, smetterla di prendersela con l’euro e con l’Europa e accucciarsi dietro a Parisi accettando una politica liberista che la Lega ha sempre rifiutato, mostrandosi a più riprese una strenua sostenitrice delle aziende pubbliche locali, della pensione a tutti a 58 anni e, in generale, di un incremento della spesa e del debito pubblico. In più il fondatore di Energie per l’ Italia apprezza il sistema elettorale proporzionale sostenendo che il maggioritario è il responsabile di tutte le arretratezze italiane. Ma come dimostra con lucidità Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, sarebbe proprio un maggioritario ben fatto che potrebbe indurre il centrodestra a rigenerarsi ed a cambiare il suo liberalismo un po’ straccione e demagogico in qualcosa di coerente capace di portare l’Italia al passo con gli altri paesi dell’occidente. Anche Alfano , infine, dovrebbe sconfessare totalmente gli anni passati al governo con Renzi, Letta e Gentiloni, dire che tutto quello che è stato fatto era sbagliato, a cominciare dalla riforma della Costituzione che ha visto Parisi e Ap su fronti opposti. In politica tutte le posizioni possono essere cambiate con disinvoltura, ma cosa dovrebbero pensare gli elettori di un simile pasticcio ?

Sull’economia, poi, le critiche di Parisi a Renzi non sono giustificate dai fatti. Dopo anni di politiche riformiste e di slalom tra gli stretti paletti della finanza pubblica imposti non da Bruxelles ma dal mostruoso livello del nostro debito pubblico che ogni anno deve essere rifinanziato chiedendo al mercato più di 400 miliardi di euro, ora l’economia italiana sembra avviata a una crescita un po’ più vicina a quella degli altri paesi europei. Sono stati creati oltre 800 mila nuovi posti di lavoro e la disoccupazione totale è scesa di due punti, mentre quella giovanile di ben 10. Sicuramente si tratta di risultati non ancora sufficienti, che dimostrano però come la strada del cambiamento per migliorare la competitività del sistema, insieme a quel poco di flessibilità concessa dalla Ue, sia quella giusta e che, quindi, bisogna fare ogni sforzo per continuarla evitando interruzioni o cambiamenti di rotta verso l’ignoto.

Le accuse di Parisi alla politica di Renzi sono quindi sbagliate. Certo qualche errore è stato commesso, ma perfino il Governatore di Banca d’Italia ha riconosciuto che alcuni incentivi, se ben calibrati, sono stati utili per riattivare la domanda interna e migliorare il clima di fiducia complessivo in attesa del pieno dispiegarsi degli effetti delle riforme strutturali che, com’è noto, hanno bisogno di tempo per entrare pienamente in funzione. Allungando un po’ lo sguardo all’indietro, non si può non rilevare che la crisi del 2011 è derivata in larga parte da errori di Berlusconi e della Lega che, negli anni buoni seguiti al nostro ingresso nell’euro, si sono tenacemente opposti a fare qualsiasi riforma portando il paese all’appuntamento con la crisi già fortemente debilitato. Il risultato è stato che mentre gli altri hanno recuperato in poco tempo i livelli di reddito pre-crisi, noi abbiamo dovuto penare molti anni per rimettere la nostra economia su una traettoria di crescita.

Ora che, sembra, l’abbiamo trovata, non c’è ragione per correre dietro a nuove avventure personalistiche



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