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La principessa e l’anarchico

Una storia che assomiglia ad un romanzo. Uno spaccato di vita sociale, politica e civile dell’Europa tra metà dell’Ottocento e la Rivoluzione d’Ottobre. Un racconto appassionato, drammatico e suggestivo nel quale vita e morte, rivoluzione e private angosce, illusioni e fughe disperate in luoghi più immaginari che reali, mondi lontani che s’incontrano fino a penetrarsi, uomini e donne che guerreggiano e poi si rappacificano, delusioni su cui si costruiscono esistenze fragili, effimere e talvolta inossidabili al trascorrere del tempo e alle costrizioni delle convenzioni. Una storia di anarchia e amore declinato in forma platonica, sensuale ed intellettuale, totalizzante comunque e punteggiato dai tradimenti più vari. C’è tutto questo, e molto altro ancora, nel racconto che Lorenza Foschini ci propone con Zoé la principessa che incantò Bakunin (Mondadori, pp.190, 20,00 euro), un libro dai registri più vari, toccante come una melodia che improvvisamente s’accende per poi spegnersi altrettanto improvvisamente.

La scrittrice napoletana, notissima giornalista televisiva, ha svolto una ricerca meticolosa che s’intuisce faticosa e lunga, su una vicenda minore, ma non per questo meno importante sviluppatasi nel cuore del secolo delle rivoluzioni quando perfino un’ aristocratica russa, la principessa Zoé Obolenskaja, moglie del governatore di Mosca, intimo dello zar Alessandro II, e figlia del conte Sumarokov, uno degli uomini più influenti, potenti e ricchi dell’Impero russo, può votarsi alla causa dell’anarchismo grazie ad un incontro che la cambierà per sempre ed influirà anche sui destini europei segnati da nazionalismi accesi e lotte contro il potere costituito nel nome di un’utopia che cento anni fa sfociò nel rivolgimento storico più importante dopo quello del 1789 in Francia.

L’incontro, la giovane donna, lo ebbe con Michail Bakunin, nel luogo più improbabile dove potesse crescere la pianta rivoluzionaria, all’ombra del Vesuvio, tra Napoli e Ischia, pochi anni dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie. Nel cuore di una capitale che conservava ancora l’allure dell’antico splendore, la principessa fuggita, si potrebbe dire, dal dorato mondo di Sa Pietroburgo ed il girovago rivoluzionario ricercato dalle polizie di tutta Europa, ed in particolare da quella del suo Paese “tradito” secondo i funzionari zaristi, di buona famiglia e di ottima cultura, votato al capovolgimento sociale che riteneva una missione, s’incontrano e tra loro scocca una scintilla che definirla amorosa non sarebbe improprio se non mancassero le prove di un affetto dilatatosi nella dimensione sessuale. Fatto sta che entrambi sono infelicemente sposati, la donna è madre ed il compagno che la introduce ai misteri della rivoluzione globale (trascendente quella marxista limitata all’emancipazione del proletariato) è malandato nel fisico e nelle sostanze economiche; entrambi sono comunque si scoprono accomunati da un’affinità “spirituale” che li fa affacciare sul balcone della storia dal quale vedono un panorama difforme a da quello che la realtà propone.

Utopia e seduzione. Zoé e Michail sperimentano questo micidiale cocktail sentimentale ed ideologico condividendolo con molti altri avventori della rivoluzione che a Napoli e a Ischia si recano come in pellegrinaggio, mentre a Mosca si muove l’aristocrazia, l’establishment, la famiglia, lo zar in persona perché lo sconcio della giovane donna cresciuta nel fasto dell’Impero torni sui suoi passi. Tutto è inutile. La forza avrà la meglio, quando per esplicito ordine di Alessandro II i figli le vengono sottratti violentemente in Svizzera; l’adulterio intollerabile, consumato con un amico di Bakunin dal quale Zoé partorisce un figlio, viene parzialmente sanato spodestandola di tutti i suoi averi e condannandola ad una vita errabonda che avrà fine solo con la morte dopo aver pianto la fine precoce di alcuni dei suoi figli. Nel frattempo, l’anarchico, tradito da un suo sodale, il famoso Necaev, s’aggira per l’Europa, tenta la conciliazione con Marx, litiga con Engels, si fa cacciare dall’Internazionale socialista, ma qual che più gli fa male è il distacco da Zoé la quale, inspiegabilmente, lo allontana avendo subito le suggestioni di un radicalismo inconciliabile con quello di Bakunin. Ed è tutto dire.

L’esemplificazione dell’universo anarchico che la Foschini ci offre con il suo racconto politico-sentimentale è di una efficacia assai rara. Scritto con il piglio della narratrice di vaglia, non trascura dati storici inoppugnabili e finisce con l’affrescare un mondo contraddittorio che pure ha avuto un’importanza non secondaria nel XIX secolo costellato da attentati e a omicidi eccellenti per mano anarchica.

La storia di Zoé e di Bakunin – che mai nessuno aveva prima d’ora raccontata – è il frutto, come si accennava, di un lavoro di scavo in miniere inesplorate e grazie a testimonianze di lontani discendenti della protagonista perlopiù negli Stati Uniti. Ma sarebbe stato, per quanto pregevole, soltanto un libro di storia questo della Foschini se l’autrice si fosse limitata ad un onesto esame dei fatti, non avesse esplorato le psicologie dei protagonisti e dei loro atteggiamenti, se non avesse realizzato un quadro dalle forti tinte che non possono lasciare indifferente il lettore. E invece è molto di più. È la storia controversa di due anime che s’incontrano, che gioiscono, soffrono e fanno i soffrire. È umano, troppo umano, al di là del bene e del male avrebbe detto un grande filosofo del tempo che forse ha sfiorato la tragedia che si compiva nelle contrade d’Europa dove s’aggiravano due protagonisti che, comunque li si giudichi, di certo non lasciano indifferenti. E la Foschini ne interpreta le profondità con perizia e partecipe passione. Basta l’incipit della narrazione per rendersi conto che il lavoro di scrittura e strettamente correlato alla condivisione della complessa vicenda oltre ad essere oggettivamente assai raffinato: “Con le grosse e larghe dita Bakunin sfiora la piccola mano della principessa, carica di anelli. Basta questo semplice gesto accompagnato dal risuonare dei loro nomi pronunciati in un russo antico ed elegante tra le volte del vecchio palazzo napoletano perché per un attimo a un uomo e a una donna lontani da casa sembri di ritrovare tutto un mondo”. Era il 1866. Bakunin sarebbe morto dieci anni dopo a Berna, Zoé nel febbraio 1897 a Mentone, in Costa Azzurra. Entrambi inquieti e sostanzialmente soli. Certamente appagati dall’ideale intensamente vissuto.


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