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Perché Macron fa sbuffare democratici e sovranisti all’amatriciana

Ma chi è stato eletto all’Eliseo, un molle terminale dei poteri tecnocratici, un beneficiario della sfiducia francese o un bonapartista, un neo-gollista, addirittura un “sovranista”? In Italia, dopo poco più di due mesi dalla vittoria, Emmanuel Macron sta facendo venire l’orticaria a coloro che lo avevano incensato come il baluardo che aveva scongiurato la presa del potere di Marine Le Pen e messo fine alle velleità dei populisti di mezza Europa. Hanno concluso – con le autorevoli certificazioni di Eugenio Scalfari e di Romano Prodi – che non è quel che si aspettavano, vale a dire un politico convenzionale senza grandi ambizioni e incline alla subalternità nei confronti di chiunque. Si ritrovano, al contrario, davanti ad un decisionista – se non disturba addirittura nell’accezione schmittiana – che riconosce nei simboli della nazione le espressioni di potere che si rinnova, determinato a dialogare con chiunque (perfino con Donald Trump del quale veniva visto – non si capisce perché – come l’antagonista naturale e con Vladimir Putin tutt’altro che considerato alla stregua del “male assoluto” stando alla elegante accoglienza che gli ha riservato a Versailles). Ma soprattutto scorgono in Macron, i lillipuziani politici italiani che l’hanno conosciuto soltanto quando è arrivato al ballottaggio, un aspirante sostenitore del primato francese nel necessario concerto europeo. Non il cagnolino al guinzaglio della Merkel, né l’esecutore docile delle bislacche direttive della Commissione europea, ma un rispettoso europeista incline a salvaguardare innanzitutto degli interessi francesi.

Se Macron si è appropriato del dossier libico, estromettendo di fatto l’Italia a cui era stato affidato dal sinedrio di Bruxelles e dall’Onu, ha fatto quel che un politico dotato di forte caratura strategica avrebbe dovuto fare: di fronte all’inerzia del governo Gentiloni, ed in particolare del ministro degli Esteri Alfano, non ha perso tempo ed ha esercitato un potere di surroga convocando il presidente libico designato ed il capo dell’opposizione per discutere del futuro del martoriato Paese – messo in ginocchio dal suo predecessore Nicolas Sarkozy in accordo con David Cameron – nel contesto euro-mediterraneo del quale la Francia (non da oggi) mostra di esercitare un ruolo da protagonista.

Niente di nuovo sotto i cieli di Parigi, dunque. Non è colpa di Macron se nessuno in Italia, ma anche altrove, ha letto per tempo, almeno prima di congratularsi con lui o di avversarlo aprioristicamente, il suo libro Révolution. Se lo avessero fatto non sarebbero rimasti interdetti né davanti ai gesti compiuti – la visita-omaggio con Trump alla tomba di Napoleone, luogo per eccellenza simboleggiante l’identità, la sovranità e l’unità della nazione – e alle manifestazioni sontuose nella forma ed essenziali della sostanza, come si conviene a chi vuole mostrare una grandeur finalmente restaurata dopo governicchi litigiosi ed inconcludenti. Davanti all’Assemblea nazionale riunita a Versailles, Macron il 4 luglio scorso pronunciò un discorso che cominciò a togliere il sonno a chi nelle contrade d’Europa sonnecchiava. “Dobbiamo compiere una vera rivoluzione”, disse, tanto sul piano interno che su quello internazionale, riformando le istituzioni politiche, snellendo la burocrazia, dando rappresentanza a chi non ce l’ha (introduzione di quante consistenti di proporzionalismo nella legge elettorale) pur godendo di un vasto seguito nel Paese; ma anche rimettendo la Francia al centro della politica internazionale, sottintendendo di non dover e voler chiedere il permesso a nessuno: un “ritorno alle origini”, insomma, fondato su un umanesimo praticato (il richiama subliminale al gollismo “sociale” è evidente) e non declamato retoricamente e sulla libertà di intrapresa, sul senso di responsabilità di cittadini, sul potenziamento dei canali di democrazia diretta. E poi una nuova politica dell’accoglienza scandita dalla differenziazione tra profughi  economici e rifugiati reclamanti il diritto umanitario nel chiedere l’asilo. La chiusura dei porti ne è stata la conseguenza insieme con la richiesta all’Europa di non rinunciare alle frontiere nazionali. “La Francia – ha scandito – deve rispettare la propria sicurezza e i suoi valori, così come deve rispettare la sovranità dei popoli. Ma agiremo dovunque la sovranità dei popoli non è rispettata”, assicurando che l’intervento francese nel Sahel contro il terrorismo sarà tra le priorità della sua azione politico-militare, in continuità con il ruolo esercitato in Africa dalla Francia anche dopo i fatti d’Algeria, oltre sessant’anni fa.

Sapori bonapartisti? Li apprezzeranno quei “sovranisti” che senza conoscerlo lo avevano marchiato come loro nemico? Per uno che spezza il dualismo destra/sinistra, squassa i partiti tradizionali, si mette alla testa di una rivoluzione che almeno nelle intenzioni dovrebbe avere lo scopo di rigenerare la Francia, un po’ d’attenzione l’avrebbe meritata nel corso della sua ascesa piuttosto che derubricarlo come depositario e garante dei “posteri forti”. E poi, quali poteri non sono forti e quale nazione, perfino la più misera, non è dominata dalle élites? Con le élites bisogna convivere: esse “circolano”, ci ricordava il vecchio Vilfredo Pareto, e chi ha dimestichezza con la sociologica politica dovrebbe sapere che da esse non si può prescindere tanto se le si vuole associare al potere quanto se si intende “addomesticarle”.

E’ evidentemente presto per giudicare Macron. Ma il fatto che sia stato già bocciato da Scalfari, Prodi e dal codazzo di “democratici” che non avevano capito di che pasta era fatto, lascia ben sperare. I “sovranisti” commisero lo stesso errore quando Trump venne eletto. Non era uno di loro, qualcuno (anche su formiche.net) si permise di osservare lo strabismo degli improvvisati filo-americani. America first condensava la politica del neo-presidente e la logica induceva a ritenere, senza molti sforzi speculativi, che non poteva esserci nella prospettiva della Casa Bianca altro che l’isolazionismo, premessa per rimettere al posto che ritiene di avere la più grande potenza del mondo. Con tanti saluti al cortile europeo dove nel frattempo ci si azzuffa come polli che hanno perduto il senno. Macron, opportunamente, se ne sta in disparte a guardare: non si becca con la Merkel, ma certo non razzola con tutti gli altri. Sovranismo? Forse per ora una leggera pioggerella di dignità nazionale apprezzata in Francia dopo una  lunga arsura.


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