Il mondo cambia, il Mediterraneo ribolle, la sicurezza s’impone come tema centrale anche se nella politica italiana il tema della cultura della sicurezza resta uno sconosciuto. In un contesto che sta cambiando sotto i nostri occhi la Nato deve cambiare approccio, forse anche mentalità, e adeguarsi. Stimoli e preoccupazioni sono emersi dal convegno “Sfide e opportunità per la Nato del futuro: la prospettiva italiana”, organizzato dal Centro studi internazionali presieduto da Andrea Margelletti.
PINOTTI, GRAZIANO, GIRARDELLI, MANCIULLI E MARGELLETTI PARLANO DI NATO. FOTO DI PIZZI
L’Italia da un lato vuole che la Nato acceleri la sua “modernizzazione” e dall’altro punta molto sull’hub che nascerà presso il comando interforze dell’Alleanza a Napoli con lo scopo di monitorare Nord Africa, Sahel e Medio Oriente. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, di fronte a “sfide sempre meno tradizionali”, ha sollecitato la Nato a “correre” su temi come la cyber security così com’è necessario stanziare “risorse importanti” per l’hub di Napoli, “altrimenti non serve”. Il sostegno che l’Occidente può dare, come in parte sta facendo, è il “capacity building” in tante aree di crisi anche allo scopo di prevenire i rischi. “L’hub per il Sud di Napoli – ha aggiunto il ministro – dovrà occuparsi di questo e qui si capirà la capacità della Nato di reinventarsi”. Nei giorni scorsi l’ammiraglio Michelle Howard, comandante del Comando Interforze Nato di Napoli, aveva spiegato che l’hub “si prefigge di mettere a disposizione un centro di raccolta e condivisione di informazioni che facilitino la comprensione dell’ambiente e permettano di prendere decisioni fondate su informazioni circostanziate in tempi rapidi” e che a settembre il Comando renderà nota la capacità operativa iniziale dell’hub per il Sud, mentre la piena capacità operativa è prevista per l’inizio del 2018.
PINOTTI, GRAZIANO, GIRARDELLI, MANCIULLI E MARGELLETTI PARLANO DI NATO. FOTO DI PIZZI
Visto che si comincia a parlare di difesa europea, il ministro ha ribadito che questo “non significa che serviranno meno risorse, anzi gli investimenti vanno incrementati, ma in maniera intelligente, evitando cioè che tutti i Paesi facciano le stesse cose” e comunque “a supporto e in coordinamento con la Nato”. Secondo il generale Claudio Graziano, capo di Stato maggiore della Difesa, “il vero problema è come agganciare la Nato all’Europa” e “l’hub per il Sud è una grande possibilità” perché può diventare “il fulcro su cui puntare per fornire sicurezza addestrando altri Paesi”.
Gli investimenti, le scelte strategiche, gli obiettivi sono però temi politici prima che militari e la preoccupazione di un esperto di terrorismo come Andrea Manciulli è quella di “diffondere la cultura della sicurezza nella politica”. Manciulli, presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato, ha spiegato che oggi “esistono forme di minaccia prima sconosciute, come quella cibernetica, e il terrorismo arriva così a confondere lo spazio civile e quello militare”. Un attacco hacker ai danni di un’azienda, per esempio, può avere conseguenze anche per un determinato gruppo di cittadini. La necessità di maggiore sensibilità sulla sicurezza è stata condivisa da Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, una carenza che causa all’Italia “un gap terribile” e che Casini ha spiegato con l’esempio dell’Egitto, dove non abbiamo l’ambasciatore per le conseguenze del caso Regeni pur essendo una nazione determinante per gli equilibri mediorientali. Qualche settimana fa una delegazione della commissione Difesa del Senato andò al Cairo e il presidente Nicola Latorre sottolineò l’esigenza della ripresa delle relazioni, “ma le parole di Latorre – ha detto Casini – sono state fatte cadere perché è una patata troppo bollente”.
PINOTTI, GRAZIANO, GIRARDELLI, MANCIULLI E MARGELLETTI PARLANO DI NATO. FOTO DI PIZZI
A riprova che tutte le patate bollenti sono in mano alla politica sono servite anche le parole del generale Danilo Errico, capo di Stato maggiore dell’Esercito, per il quale ogni intervento in questa fase storica spetta “più alla politica che ai militari. Un intervento militare è solo deterrenza, serve una riflessione politica” per attuare determinate scelte. Quando la riflessione è troppo lunga nascono i problemi.