Chi ha dimenticato l’incontro tra Macron e i duellanti libici Sarraj (in foto) e Haftar? Quell’incontro, al quale non fu invitata l’Italia, sembrò a molti avviare una soluzione libica senza di noi. Eravamo stati tagliati fuori, avevamo “perso la Libia”! Davvero? Forse questa era l’intenzione di Macron. Ma i duellanti libici dal giorno dopo ripresero a beccarsi. Progetto svanito? Resta il fatto che l’Italia non è stata invitata a quell’incontro. A riprova che una soluzione del problema libico non si avrà senza una posizione comune europea. E sarà la posizione che scaturirà dagli interessi della compagnia petrolifera francese, di quella italiana, o da un’altra visione, un pochino più “alta”?
Su quale nodo ruotò il dibattito sul ritiro del nostro ambasciatore dal Cairo dopo il tremendo delitto Regeni? Diciamo la verità: il punto fu se quel ritiro avrebbe indebolito la posizione della nostra compagnia petrolifera a favore di quella francese. L’attivismo francese, poco attento a Giulio, non dava torto a chi era preoccupato. Dunque sull’Egitto si va in ordine sparso, cercando magari di migliorare i propri rapporti con il generale al Sisi fuori da una lettura di “quadro”? Ma ci si rende conto di cosa significherebbe, anche per i flussi migratori, l’esplosione dell’Egitto? E il livello di affollamento dei penitenziari egiziani, dove pochi immaginano quanti possano essere “i Regeni”, non dovrebbe allarmare? Tutto questo per dire che chi, giustamente, vede l’urgenza di una soluzione al traffico di migranti forse dovrebbe partire da una domanda: non sarebbe più probabile questa soluzione in presenza di una linea politica, e militare, europea?
Tra coloro che sbarcano in Sicilia ci sono profughi che giungono dal Bangladesh. È il prodotto della chiusura della rotta balcanica? Si può pensare di mettere un muro tra l’Europa e il Mediterraneo, i Balcani, Gibilterra, la Manica, il Mar Baltico? E si potrebbe farlo chiudendo gli occhi su quanto accadrebbe “oltre il muro”? No, per aver un approccio europeo occorre partire dalla lettura di quanto accade attorno a noi. E per farlo occorre partire dal 2003, quando l’amministrazione Bush e Riad ritennero che l’invasione dell’Iraq avrebbe significato la marginalizzazione dell’Iran. Per chi ha bisogno della religione per rendere spendibili i propri progetti economici quella marginalizzazione era la sconfitta degli sciiti (religione di stato in Iran).
È partito così, feroce e nell’ombra, il progetto khomeinista dei pasdaran e delle milizie teocratiche loro alleate, costruire un corridoio “sciita” che legasse Tehran al Mediterraneo. Perché questo progetto si possa realizzare non basta controllare una serie di arterie che uniscono Tehran a Baghdad a Damasco a Beirut. Serve molto di più. Serve eliminare alcune decine di milioni di persone e sostituirle con altri milioni persone, di diversa osservanza religiosa, cioè sciite non nel senso di “fede”, ma di inserimento in comunità controllate politicamente e culturalmente (ed economicamente) da milizie khomeiniste. È un progetto folle? Non lo so. Certo è un progetto che viene perseguito da anni, con tanto di assedi, stragi, deportazioni. Eccoci alla taciuta rimozione da Iraq e Siria di milioni di sunniti , che cacciati dalle loro case premono in diversi modi sui nostri confini. Quando si deportano alcune decine di milioni di persone che si crei il problema “dove andranno?” non è di difficile immaginazione.
Il disegno khomeinista di pulizia etnico-religiosa del Levante punta ad una pace che imponga su tutto il Levante quel principio che conosciamo bene, “cuius regio, eius religio”, che sostituirebbe gli stati con potentati miliziani, come vediamo. Aver tollerato tutto questo, da Falluja ad Aleppo, ha messo in crisi anche il Nord Africa, perché lì arriva l’altra direttrice del conflitto, quella che dallo Yemen (conteso!) attraversa il Mar Rosso e arriva appunto in Nord Africa. Si poteva presumere che tutto questo potesse accadere intorno a noi senza riguardarci?
Oggi l’Isis, tumore nato nel corpo sunnita, quello che i pasdaran volevano conquistare e dominare, può apparire una realtà in crisi, e probabilmente lo è. Ma non è in crisi il motore che ha creato lì questo mostro, cioè la disperazione, unendosi a quello che lo ha innervato qui da noi, cioè il nuovo nichilismo, il radicalismo nichilista che trova nelle bandiere nere dell’Isis un kit pronto all’uso dei nuovi nichilisti, certamente disposti per poche ore a lasciare le droghe e abbracciare una bandiera nera, offerta come marcatore.
Così dopo aver resistito per secoli, il Mediterraneo si sta spezzando. Ormai è un mare rotto, intransitabile, invalicabile. Chi può pensare di compiervi una crociera? Per andare dove? Forse da Roma a Barcellona… Ma il mare sul quale si affacciavano Alessandria, Smirne, Beirut, non c’è più. È un bene? Possiamo ragionare su questo senza vedere che il Novecento è stato il secolo dei nazionalismi malati, presentatisi al mondo con il genocidio armeni? È impossibile non dirsi che tra i leader più invocati, come modello o come interlocutore, ce ne sono due: il regime che ha affidato l’ideazione del suoi servizi segreti al gerarca nazista Alois Brunner, cioè il regime degli Assad, e quello che nel 1996, ordinò di massacrare almeno 1200 prigionieri politici, cioè il regime di Gheddafi. Tutto questo è incompatibile con qualsiasi idea di Europa. Possiamo davvero pensare che siano i vicini auspicabili, capaci di darci, in un prossimo futuro, estati più serene della presente? Possiamo davvero credere che le nostre notti diverranno serene quando avranno loro le chiavi degli “hotspot” di un mondo devastato, fuggiasco, disperato, torturato, perseguitato, violentato? Cosa diverrebbe l’Europa quando mettesse queste chiavi nelle mani di costoro? Un continente sicuro? Domanda: è migliorato Erdogan da quando ha firmato il faraonico contratto per la chiusura della rotta balcanica? O non è ogni giorno al centro delle nostre preoccupazioni per i processi ai giornalisti, agli attivisti, ai dissidenti, ai presunti dissidenti, agli antipatici. Così io oggi mi chiedo: sono i feroci dittatori che ci circondano che si sono sentiti costretti a cambiare, ad accettare i nostri standard, o è più vero il contrario? E se questo fosse vero, non sarebbe il caso di rifletterci e deciderci a cercare una linea, politica e militare, comune?