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L’estate non c’è più, ecco quello che resta…

malgieri, francia, marine le pen

Torno da fresche regioni d’Europa dove si respira un’altra aria. Più pulita, in tutti i sensi. Ho vagato per strade dove mi sono accorto che perfino le foglie hanno paura di cadere. E se cadono c’è chi le raccoglie all’istante. I pensieri si sono allineati ordinatamente per giorni e quelli che non ho tenuto per me sono finiti in fogli sparsi.  Adesso m’immergo con riluttanza nella quotidianità ricordando, nella bolla in cui come tutti sono finito, l’estate che non c’è più. Non mi domando nemmeno dove sia finita. Di certo questa non è la “nostra” estate. O, almeno, quella che mi sono portato nel cuore per anni, da quando ero bambino. Insomma, si soffre e d’estate non si dovrebbe soffrire.

Perfino le parole sono accaldate. Faticano a dare forma a un’idea. Esprimono la sofferenza di chi scrive con il solo conforto di una musica refrigerante che fa da contrappunto al sibilo dell’aria condizionata. Cercano le parole di lenire il dolore che provoca questa stagione violenta. E ci si rende conto di una verità tenuta nascosta quasi per pudore: l’estate è menzognera, non mantiene mai le promesse. Dovrebbe essere il tempo della liberazione e invece ci fa stare tappati in casa davanti ad un refrigerante qualsiasi; dovrebbe spingerci a fuggire la folla, ma il solo pensiero di incontrarne di più imponenti, sudaticce, chiassose e volgari ci induce a rifugiarci nel solito guscio; dovrebbe favorire incontri e scambi, serate gioiose e pigri pomeriggi, invece ci assediano la calura infame e la solitudine anche quando si sta in spiaggia attorniati da centinaia di  bagnanti soli come noi, annoiati come noi, nervosi forse più di noi. In colonna sulle autostrade o davanti ai chioschi marini, ma anche nelle alte malghe o nei più abbordabili agriturismi, la verità è che d’estate diventiamo intolleranti verso noi stessi e verso gli altri.

Un tempo non era così, come sanno coloro che hanno passato la cinquantina. L’estate manteneva le sue promesse. E ci si divertiva con poco, eravamo più spensierati, le vacanze non erano le bolsceviche “ferie” da fare a tutti i costi e a caro prezzo. Bastava non essere schiavi di orari ed impegni per sentirsi liberi e dunque immersi in una stagione che regalava molto, dal caldo sopportabile ai frutti saporiti e profumati, e non esigeva nulla da nessuno, men che meno l’esibizione di riti di massa ai quali oggi nessuno sembra volersi sottrarre e chi lo fa o è uno snob da evitare o un poveraccio da non frequentare.

Per di più l’estate una volta avvicinava, oggi divide. Le famiglie si riunivano, adesso si frantumano. Ognuno per conto suo e arrivederci a chissà quando. Il mio paese, nel profondo Mezzogiorno, raddoppiava gli abitanti; ora d’agosto sono la metà. Gli immigrati al Nord o all’estero ritornavano gioiosi per riappropriarsi della loro vita in quel mese “rubato” alla civiltà della disarticolazione familiare, necessaria ma quanto dolorosa. Si passavano le controre inseguendo sogni ad occhi aperti e le serate a raccontarsi degli inverni lunghi e talvolta avventurosi. Il mare, per chi poteva permetterselo, era una specie di Graal su cui fantasticare prima e tuffarcisi poi. E, soprattutto, comunque e dovunque, l’estate era la stagione degli amori anche se si sapeva che difficilmente sarebbero durati. Con le canzoni, i suoni, le chimere che l’amore sapeva suggerire ai creatori di miti banali, ma quanto entusiasmanti.

E adesso? No, non è per spirito di contraddizione desiderare che l’autunno torni presto annunciato dagli acquazzoni d’agosto che peraltro non sono alle viste. E’ che l’estate ha perduto il suo fascino nei modi di concepire lo svago, il divertimento, la stasi sublime sotto il sole, lo stacco con l’ordinarietà, la rottura con il tran tran. Non ha più una sua specificità, insomma, se si esclude il clima – quest’anno insopportabilmente torrido – che per settimane ci annebbia fino a distruggerci letteralmente, letale come mai nei tempi da noi conosciuti, opprimente al punto di desiderare il ritorno a temperature fredde con tutto quel che comportano. Insomma, la “mitica” estate non la riconosciamo più. Se non fosse per la colonnina di mercurio che s’alza vertiginosamente, non sapremmo neppure che luglio ed agosto sono arrivati. E io almeno spero che passino in fretta, ma come vediamo sono ancora qui ad inchiodarci al desiderio di frescure impossibili.

Ho provato a girovagare, più d’una volta, in diverse ore del giorno, per le strade di varie città durante l’estate negli ultimi anni. Sapevo che non avrei incontrato ciò che speravo, ma volevo rendermene conto empiricamente, come si dice. Ed ho avuto la conferma che d’estate la gente è addirittura meno allegra rispetto alle altre stagioni dell’anno. Diventa più intollerante negli uffici e nei negozi. Si fa prendere più facilmente dalle smanie del riposo forzato che tutto è tranne che riposo. E’ maggiormente incline al litigio per un nonnulla, mentre vorrebbe sbarazzarsi del problema di come e dove trascorrere le ferie ancor prima di averle fatte. Sono i non-sensi del nostro tempo, direte. E’ certamente così. Ma allora perché non barricarsi in casa e sbarrare la porta ai barbari che vorrebbero trascinarci sui loro mari inquinati, sulle loro montagne infestate dai cultori del chiasso, nelle campagne devastate da dancing dove si fa rumore e la musica è sconosciuta. Perché non dovremmo nasconderci ai devastatori della nostra tranquillità e conquistarci un metro quadro sul nostro terrazzino, tra i gerani ed il basilico, o, per chi può permetterselo, quell’angolo di giardino profumato che sa tanto di Paradiso?

Vorrei che ci venisse restituita l’estate con i suoi profumi, i suoi sapori, le sue dolci lusinghe, le estenuanti controre, gli amori che nascono e muoiono, le lunghe serate intessute di ricordi, racconti, speranze e illusioni. So che non è possibile. Il caldo opprimente è la metafora del nulla di cui si nutre l’estate piuttosto che un’anomalia climatica. Ci restano i gossippari inariditi dal solleone, i giornalisti da ombrellone alla ricerca di una politica che non c’è a dicembre figurarsi ad agosto, i consumisti in servizio permanente effettivo che vorrebbero obbligarci a divertirci come hanno pianificato loro, i molti assatanati dall’ultima follia sfornata dal market del turismo straccione. Non è un bel vedere. Aspetto l’autunno, mentre sibila il climatizzatore e le “Variazioni Goldberg” di Bach mi tengono compagnia perfino la notte alla disperata ricerca di un po’ di sonno.


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