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Ecco perché l’Italia tramonta secondo Galli della Loggia

Galli della Loggia, migranti

Nell’Introduzione al suo ultimo libro, Il tramonto di una nazione (Marsilio, pp. 323, € 20,00), lo storico Ernesto Galli della Loggia si chiede, non senza ragione, se morirà italiano. Tale è la sua malinconica diagnosi dello stato del Paese nel quale è nato da indurlo a questo estremo interrogativo che testimonia una sofferenza non soltanto intellettuale, ma anche – e soprattutto – umana.

Contemplando il panorama di rovine che ci assedia, lo studioso che tra i primi intuì nella “morte della Patria” il “vizio” d’origine della decadenza italiana (il presidente Carlo Azeglio Ciampi non ne comprese la portata suscitando una replica sdegnata e puntuale da parte di Galli della Loggia), oggi, nell’assemblare i suoi interventi-editoriali pubblicati dal 2000 al 2017 sul Corriere della sera, non può fare a meno di osservare che molti italiani al pari di lui avvertono la sensazione crescente di un sempre maggiore spaesamento, di una lontananza dalla comunità nazionale, di un disagio che si traduce in estraneità. Il che vuol dire che la nostra nazione è entrata in un coma profondo, speriamo non irreversibile. E’ un “sentimento della fine” quello che Galli della Loggia descrive e la lettura di ciò che ha analiticamente proposto per diciassette anni lo conferma ampiamente.

Gli articoli, che sono in realtà brevi saggi, nel loro insieme formano il mosaico di un declino che si è impresso nell’animo e nella mente degli italiani suscitando in chi si ostina a non voler vedere la realtà, a nascondersi la tragica verità in moto di reazione che non si saprebbe se definire più imbecille o irresponsabile. Non è uno “sfascista” professionale Galli della Loggia. Il suo itinerario intellettuale e la sua imponente opera di storico dimostrano il contrario. Ma quando lo studioso (e in molte occasioni il pensatore civile e partecipe) mette su carta – destinata per sua stessa ammissione a consumarsi rapidamente, segno dei tempi – i suoi pensieri non in linea con l’ottimismo di alcuni progressisti ciechi e dementi, non fa altro che il suo mestiere corroborato da una passione per la sua nazione alla quale rivolge moniti che non sono di maniera, ma s’innestano in una linea di pensiero che pure ha contribuito per un lungo tempo a far crescere l’Italia ben oltre le aspettative di coloro che si sono impegnati allo scopo.

Eppure, dopo i successi ottenuti, qualcosa si è spento. Sono finite le culture politiche, l’identità nazionale è quasi del tutto svanita, le classi dirigenti si sono dimostrate inadeguate a comprendere i tempi e a prevedere l’avvenire e non si riconoscono più in nulla (destra e sinistra pescano nell’occasionalismo e nel sensazionalismo: che tristezza!), le istituzioni sono decadute perché non supportate da un lavoro che puntasse a riformarle per come le necessità richiedevano, l’ignoranza si è impossessata delle giovani generazioni al punto che negli ultimi dieci anni è diminuito di ben tre milioni il numero di lettori di libri, mentre continuano a chiudere librerie, edicole, ma aumentano vertiginosamente i fruitori di cellulari (siamo i primi nel mondo) ed i “consumatori” di Internet. Insomma, siamo più incolti e ci accontentiamo di guardare per ore la Tv o di navigare nel web bovinamente acconciandoci a diventare “materiali” aggredibili dall’industria della comunicazione commerciale. Un desolante paesaggio che non promette nulla di buono e anzi, lo si ammetta o meno da parte dei provvisori reggitori della cosa pubblica, fa ritenere che nei prossimi anni l’irrilevanza internazionale dell’Italia sarà ancora più marcata di oggi.

“In misura imprecisabile, ma certo non insignificante, l’esistenza e il destino dei singoli dipende dalla comunità a cui appartengono, dalle capacità di organizzazione e di sviluppo di tale comunità, dalla sua storia”, scrive Galli della Loggia per il quale una “nazione alla fine” è una storia nella quale capita di nascere, ma l’esservi nati “non è proprio come essere i clienti di un albergo”.

Già, con l’aggravante che l’albergo Italia non è neppure accogliente, ma una catapecchia sulla quale giorno dopo giorno di abbattono sciagure di ogni genere e di fronte alle quali si allargano le braccia sperando che il domani sia meno gravato da problemi: un’illusione. E Galli della Loggia lo spiega: “Una nazione al tramonto vuol dire un paese che non riesce più a crescere, che si smaglia e si disunisce, e che insieme consuma una frattura con il proprio passato: perciò non riuscendo più a immaginare un futuro. Il malessere del presente, l’oblio della propria storia e la nebbia del domani diventano così, sommandosi, la premessa di una generale perdita di fiducia e di speranza”.

L’ombra oscura del declino, dopo il magico exploit durato oltre un secolo, si allunga sull’avvenire. La lunga meditazione di Galli della Loggia sulla fine che nel Tramonto di una nazione propone non è lo sfogo di una Cassandra, ma la lucida e consapevole diagnosi di uno storico che facilmente potrebbe essere etichettato come “conservatore”, sperando che non gli dispiaccia essere accomunato a grandi analisti che nel “ritorno al passato” hanno indicato la strada per guadagnare il futuro.


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