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Tutti i (crescenti) legami energetici tra Stati Uniti e Cina

xi jinping

Come spesso accade i venti di guerra che spirano sul Pacifico aumentando le tensioni tra Stati Uniti e Cina non seguono i legami commerciali, soprattutto energetici, che tra Washington e Pechino sono sempre più intrecciati. Non è un caso che proprio in questi giorni il segretario di stato Usa, Rex Tillerson, sia volato nella capitale cinese per parlare non solo della crisi nordcoreana, ma anche dei rapporti economici tra i due Paesi, specialmente quelli legati al petrolio.

La produzione energetica americana (in particolare di greggio e gas) che il presidente Trump sta cercando di sostenere, vede il Paese asiatico come principale destinazione dell’export. La Cina ha importato circa centomila barili di petrolio greggio al giorno dagli Stati Uniti nei primi cinque mesi dell’anno, dieci volte in più rispetto al 2016, secondo i dati delle dogane cinesi. Una tendenza al rialzo che si conferma in tutti gli ultimi mesi: in aprile e maggio le importazioni sono aumentate a una media di 180 mila barili al giorno e nel mese di febbraio la Cina è diventata il più grande acquirente di petrolio greggio statunitense, superando il Canada.

Come sostiene la società di consulenza Pira Energy (affiliata a Standard & Poors) entro il 2020 le esportazioni di greggio made in Usa raggiungeranno 2,25 milioni di barili al giorno, quadruplicando gli attuali volumi. La produzione di greggio Usa dovrebbe raggiungere i 9,3 milioni di barili al giorno quest’anno (in aumento degli 8,9 milioni dello scorso anno), per arrivare a 9,9 milioni di barili al giorno nel 2018, secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia. “Gli Stati Uniti diventeranno uno dei 10 Paesi che esportano più petrolio al mondo”, ha detto Gary Ross, capo del settore petrolifero di Pira, “anche se non fanno parte dell’Opec, e quindi non partecipano agli sforzi per contenere la produzione”. Il principale porto da cui partiranno le esportazioni proprio verso la Cina si trova in Texas, nella città di Corpus Christi, dove in maggio ha fatto il suo ingresso di prova una superpetrolifera VLCC, inaugurando così il terminal petrolifero aperto lo scorso anno da Occidental Petroleum, che è un grosso operatore del giacimento di Permian.

Uno degli obiettivi cinesi è poi quello di espandere l’utilizzo dei combustibili verdi attraverso una transizione morbida. Per questo motivo, il governo sta espandendo l’uso su scala nazionale del bioetanolo e metanolo come carburante verde, entro il 2020, anche attraverso importanti investimenti nell’industria americana dello shale gas al fine di importarlo in Cina. Per questo, la Shangai Bi Ke Clean Energy Technology, compagnia energetica partecipata dallo stato, ha da poco costruito nello stato di Washington un impianto di produzione del metanolo dallo shale gas, come confermato dallo stesso amministratore delegato della società, Wu Lebin. Secondo Lebin questa è la via più facile per rispettare gli impegni stabiliti alla Cop 21 di Parigi attraverso una fonte a basso costo e logisticamente molto più facile da trasportare.

Da tempo ormai, Usa e Cina stanno lavorando a un accordo commerciale che vedrebbe vasti quantitativi di gas naturale inviati dal Texas e dalla Pennsylvania agli stabilimenti industriali di Shanghai e del Guangdong. Anche in quest’ottica il più grande centro di magazzinaggio e di logistica di gas della Cina dovrebbe iniziare la sua attività entro la fine del 2018, un modo per cercare di alleviare la carenza di gas nei periodi invernali e permettere di sostituire il carbone. L’impianto, finanziato con 2, miliardi di dollari dal gigante statale Sinopec, potrà immagazzinare fino a dieci miliardi di metri cubi di gas, molto probabilmente targato Usa. Ma la Cina sta pianificando di aumentare anche la propria capacità energetica nucleare, incrementando entro il 2020 di oltre trenta milioni di chilowatt la sua capacità attuale. Nel compiere questo sforzo Pechino sta risollevando l’americana Westinghouse, che lo scorso marzo ha fatto richiesta di fallimento proprio per le difficoltà incontrare sul mercato di casa propria. Westinghouse, in Cina, sta invece portando avanti la costruzione di una centrale nucleare di terza generazione l’AP1000 di Sanmen, la cui entrata in funzione è prevista entro fine 2017. Il completamento di Sanmen farà della Cina il primo Paese a usare questa tipologia di reattore nucleare di terza generazione, impattando sulle prospettive future di Westinghouse, il cui destino è oggi quantomai incerto. Se l’operazione si rivelerà un successo la Cina potrebbe infatti dare l’approvazione per la costruzione di altri reattori dello stesso tipo e innescare investimenti anche in altri Paesi. Anche Sud Africa, India, Messico e Repubblica Ceca sono ad esempio intenzionati ad adottare la tecnologia.



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