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La spiaggia di Chioggia, il fascismo e le troppe contraddizioni

La procura di Venezia ritiene che le foto e i cartelli inneggianti al fascismo esposti nello stabilimento “Playa Punta Canna” di Chioggia non costituiscano un’apologia del fascismo e dunque hanno chiesto l’archiviazione per il gestore Gianni Scarpa, indagato per quel reato con l’ipotesi di violazione della legge Scelba. Il procuratore Bruno Cherchi e il sostituto Francesca Crupi, infatti, ritengono che le foto di Benito Mussolini e i tanti cartelli esposti siano un’articolazione del pensiero del gestore e non violino l’articolo 4 della legge 645 del 1952, appunto la legge Scelba.

Che cosa dice quell’articolo 4? Che non solo chi tende a riorganizzare il partito fascista, ma anche “chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche” è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 400mila lire a 1 milione (oggi con l’equivalente in euro). Inoltre, “se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da 1 a 2 milioni”.

Negli ultimi mesi in Italia c’è stata una crescita di consensi per movimenti che si richiamano direttamente alla dittatura fascista, consensi che arrivano da una frangia populista (nel dopoguerra si sarebbe detto “qualunquista”) oggetto di desiderio anche di altri partiti come la Lega Nord di Matteo Salvini, che infatti si fece fotografare accanto ai cartelli “incriminati” di Chioggia. Con la scusa di sostenere un’attività imprenditoriale, Salvini ne approfittò per chiedere l’abolizione della legge Scelba, poi integrata dalla legge Mancino del 1993.

La posizione della procura veneziana, ora all’attenzione del gip, assume un valore particolare proprio per il momento in cui viene assunta: in quello stabilimento c’erano foto e frasi inneggianti a Mussolini, ripetute minacce di “manganello sui denti” a chi non rispettava certe regole basate su “legge e ordine” e il gestore Scarpa diffondeva attraverso gli altoparlanti frasi tipo “la democrazia mi fa schifo” e “sono per lo sterminio totale dei tossici”. Come queste e i tanti altri “concetti” esposti non costituiscano l’esaltazione prevista dalla legge Scelba non si capisce proprio, tanto che sull’onda delle proteste che si levarono il prefetto di Venezia, Carlo Boffi, ordinò la rimozione di cartelli e foto. Il gip ora ha una bella responsabilità anche perché, se non c’è stata esaltazione del fascismo, come si è permesso il prefetto di far rimuovere quei cartelli? Sarebbe giusto punire lui…



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