Quella che si apre è una settimana importante, specialmente per il centrodestra. Due sono gli argomenti che si incroceranno nei prossimi giorni, influenzandosi l’uno con l’altro. La legge elettorale e il referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto.
Il cosiddetto Rosatellum bis approda domani martedì 17 ottobre in commissione Affari costituzionali del Senato. Qui, per non tornare a Montecitorio, visto che il Pd lo vuole approvare al più presto e prima del voto in Sicilia (5 novembre), dovrà avere il via libera senza modifiche. I numeri, però, a Palazzo Madama ballano. Perché se i partiti che appoggiano il nuovo sistema raggiungono i 220 voti su 315 (una larga maggioranza), se verrà messa la fiducia (come pare, per accorciare i tempi), in Aula resterebbero solo le forze pro-Rosatellum che stanno in maggioranza di governo: Pd, Ap, Ala e Autonomie. Ovvero 155 voti, sotto la maggioranza assoluta di 161. Per il governo si porrà un problema numerico, anche legato al numero legale. Ricordiamo che in Senato l’astensione vale come voto contrario, quindi Fi e Lega, per non votare la fiducia, dovranno uscire dall’Aula. Per questo motivo da parte del Pd è partita la caccia ad almeno una dozzina di senatori azzurri e leghisti che siano disposti a dichiarare di essere assenti giustificati o in missione: in modo da non essere conteggiati ai fini del numero legale e abbassare il quorum.
Tecnicismi a parte, la legge elettorale in Senato rischia di allargare la frattura nel centrodestra: Fi e Lega sono tra i maggiori sostenitori, mentre Fdi è contraria. Negli ultimi giorni Meloni e Salvini non si sono risparmiati critiche e attacchi, creando una faglia tra due partiti che finora avevano filato in sintonia, uniti semmai in chiave anti-berlusconiana. Faglia che si è ulteriormente allargata a causa del referendum, che la giovane ex An ha definito “un attentato all’unità nazionale e un oltraggio alla patria”. Salvini, che sta cercando di tenere insieme capra e cavoli (voglia di autonomismo nordista all’interno di una forza che ha ambizioni nazionali), ha accusato il colpo e ha risposto per le rime: “Mi dispiace che Giorgia non capisca, al contrario di molti esponenti del suo partito che al Nord sono con noi”. Il leader leghista ha posto l’asticella del successo al 44% di partecipazione in Lombardia, mentre in Veneto, dove c’è il quorum, per essere valida la consultazione dovrà superare il 50% di affluenza tra gli aventi diritto.
Ma siccome siamo già in campagna elettorale, la questione tra Meloni e Salvini va oltre la politica. La lista “Noi con Salvini”, infatti, sarà presente in tutto il centro sud. E qui nelle liste sovraniste potrebbero essere imbarcati diversi esponenti del nuovo soggetto politico di Storace e Alemanno, il “Movimento italiano per la sovranità” (che sabato ha sfilato per le strade di Roma), andando a disturbare proprio i candidati di Fdi, che rischia di cedere voti a destra.
Tutto, infatti, si declina ormai in termini elettorali. Certo è che il referendum di domenica servirà a decretare vincitori e sconfitti anche all’interno di Pd e Forza Italia. Il partito renziano ha tenuto un atteggiamento molto ambiguo (“votiamo Sì, ma lo riteniamo inutile”), con una spaccatura tra il partito nazionale e quello periferico: Beppe Sala e Giorgio Gori sono convintamente a favore, come anche la maggior parte degli esponenti locali di Lombardia e Veneto. Contrari, invece, molti personaggi nazionali, mentre Renzi se ne è tenuto a distanza siderale. In Fi, invece, si gioca un derby tra Nord e Sud: Gelmini, Toti e Romani sono apertamente per il Sì, mentre assai critici sono gli esponenti meridionali. Il duello negli ultimi giorni ha registrato scosse telluriche notevoli. “Il nostro partito soffre molto al Sud, dove andiamo male. In Fi ci sono tanti incapaci”, ha detto Giovanni Toti. “Il governatore ligure è un ottimo amministratore, ma forse ignora come stanno le cose al Sud, dove i sondaggi ci danno ovunque intorno al 20%”, la risposta di Mara Carfagna.
Anche se solo consultivo, il risultato referendario sarà dunque importante per ridefinire gli equilibri nel centrodestra, mentre la performance del Rosatellum in Senato farà da prova generale a un possibile accordo post elettorale tra Renzi e Berlusconi. Con Salvini che, questa volta, potrebbe non stare a guardare.