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Perché mi ha affascinato la “Forza del silenzio” del cardinale Sarah

Sarah

“È necessario per tutti noi coltivare il silenzio e circondarlo di una diga interiore. Nella mia preghiera e nella mia vita interiore, ho sempre sperimentato il bisogno di un silenzio più profondo, più completo. Si tratta di quella sobrietà che conduce a non pensare neppure a me stesso, ma a volgere il mio sguardo, il mio essere e la mia anima verso Dio”. Queste parole non sono state pronunciate da uno dei mistici padri del deserto, ma sono il cuore della riflessione del cardinale Robert Sarah contenute nel suo ultimo libro, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore (Cantagalli, pp.287, €20,00), scritto, come il precedente (Dio o niente), con la stimolante collaborazione di Nicolas Diat e prefato da Benedetto XVI, “maestro dello spirito”, “maestro del silenzio e della preghiera”. Il porporato guineano si conferma come uno dei più alti spiriti della cristianità contemporanea ed un autentico riferimento nella Chiesa cattolica per coloro che non intendono sottomettersi allo “spirito del tempo” immergendosi, appunto, nel rumore che soffoca l’anima.

Non è una semplice accusa quella che il cardinale Sarah muove alla modernità, ma una circostanziata disamina della perdita del senso profondo della religiosità da parte dei fedeli che, forse incolpevolmente, sono incappati nelle mode più avvilenti che connotano la nostra epoca ed hanno finito per contaminare anche la Chiesa. Nella sua profonda e dettagliata analisi (ogni frase necessiterebbe di una sottolineature e di una adeguata esegesi), l’abbandono del silenzio è rappresentato come un ostacolo all’accoglimento di Dio attraverso la preghiera e l’origine dello smarrimento della sacralità perfino tra coloro che dovrebbero condurre i cristiani verso una più alta considerazione della pratica religiosa finalizzata al ritrovamento di se stessi e, naturalmente, dell’Eternità. La tecnica, il consumismo, l’eudemonismo, l’ossessione dell’esteriorità, l’invadenza del dubbio, lo scetticismo e l’indifferentismo hanno minato gli spazi del silenzio. La follia del rumore, perfino nei templi dove lo spirito dovrebbe trovare ristoro, ha annullato quasi del tutto la possibilità dell’uomo di connettersi con il divino. Da qui la dimensione angosciante che l’umanità vive insidiata da innumerevoli incertezze che neppure nella Chiesa trovano risposte adeguate.

L’abbandono del silenzio ha respinto la preghiera e dunque la conoscenza della verità, della bellezza e dell’amore.
“Possiamo cercare Dio solo nei chiostri”, sostiene il cardinale Sarah. O, ci permettiamo di aggiungere, nelle nostre anime se siamo capaci di sottrarle ai condizionamenti che gli assordanti rumori provocano impedendo la possibilità di elevarci oltre le umane miserie, i desideri impossibili da soddisfare, le lusinghe del materialismo pratico, le giustificazioni del relativismo morale. “La vita monastica, la vita degli uomini di solitudine e di silenzio è un’ascensione verso le altezze e non un riposo sulle altezze. I monaci salgono ogni giorno più in alto perché Dio è sempre più grande. Su questa terra non potremo mai raggiungere Dio. Ma niente potrà accompagnare meglio il nostro viaggio terreno verso Dio della solitudine e del silenzio”, osserva il porporato che della vita monastica ha fatto il riferimento costante della sua esistenza ed in particolare dell’insegnamento benedettino filtrato dalla pratica cenobitica dei certosini la cui spiritualità, come scriveva Nathalie Nabert ne La Grande Chartreuse, au-delá du silence, “nasce dall’incontro di un’anima e di un luogo, dalla coincidenza tra un desiderio di vita ritirata in Dio e un paesaggio”. La “Cartusie solitudine”, insomma, come i testi antichi descrivevano la bellezza “naturale” dell’isolamento e che convinse, alla fine della sua carriera di letterato decadente, Joris-Karl Huysmans, a farsi oblato, raccontando la sua esperienza di silenzioso frequentatore di monasteri nell’omonimo romanzo ora edito in Italia da D’Ettoris.

Il cardinale, affascinato dal mondo dei solitari di Dio, non manca di scorgere nel canto gregoriano una profondità ed una pietà dolce che esalta appunto il silenzio, quel canto che oggi manca nelle chiese disadorne simili a supermercati o a stazioni ferroviarie in omaggio ad una sorta di agorà nella quale tutto è permesso tranne il raccoglimento. “Le potenze mondane che cercano di plasmare l’uomo moderno rifuggono sistematicamente il silenzio. Non ho timore di affermare che i falsi sacerdoti della modernità, che dichiarano una specie di guerra al silenzio, hanno perduto la battaglia. Poiché possiamo retare silenziosi in mezzo alla più grande confusione, all’agitazione più abietta, in mezzo al chiasso e allo stridore di queste macchine infernali che spingono al funzionalismo, all’attivismo e che ci allontanano da ogni dimensione trascendente e da ogni forma di vita interiore”.

Ma come? Soltanto convincendoci che “il silenzio non è un’assenza”, ma piuttosto “la manifestazione di una presenza, più intensa si qualsiasi altra presenza”. E che soltanto nel silenzio si possono porre, con la speranza di riuscire ad ottenere soddisfacenti risposte, le vere domande della vita. Scriveva Thomas Merton che il silenzio “è necessario per denunciare e riparare la distruzione e i danni provocati dal ‘peccato’ del rumore”. E tanto più nella Chiesa stessa, tra i cattolici che recitano l’ufficio divino “senza raccoglimento, senza entusiasmo né fervore, oppure in maniera irregolare e sporadica”, scrive il cardinale Sarah, con il tragico risultato di rendere tiepido il cuore e banale il rapporto con Dio.

Soltanto quando avremo acquisito il silenzio interiore, ammonisce il porporato, “potremo portarlo con noi nel mondo e pregare dovunque”. Insomma, “la vita del silenzio deve saper precedere la vita attiva”. Oltretutto “il rumore non è mai sereno e non conduce mai alla comprensione dell’altro”. Ma i questo mondo, permeato di tecnologia, rumoroso per definizione, distratto e caotico al di là della nostra stessa consapevolezza, come si fa a trovare il silenzio? “L’umanità – spiega il cardinale Sarah – deve entrare in una forma di resistenza”. E la Chiesa deve condurre questo processo di razione alla modernità se vuole che che l’umanità di riappropri di Dio e lo riconosca. Duramente poi ammette: “Non mi stancherò mai di denunciare coloro che sono infedeli alle promesse della loro ordinazione. Non smettono mai di parlare poter far conoscere o per imporre la loro visione personale, tanto sul piano teologico che su quello personale… Non credo di poter affermare che siano abitati da Dio… continuano a parlare e ai media piace ascoltarli per diffondere le loro stupidaggini se si dichiarano a favore delle nuove ideologie post-umane, nel campo della sessualità, della famiglia, del matrimonio”.

Parole forti, parole che non ammettono vane discussioni. Il cardinale Sarah, arrivato al centro della Cristianità dal cuore dell’Africa, vescovo più giovane del mondo consacrato nel 1979, presidente del dicastero Vaticano che si occupa della liturgia, ha fatto del silenzio e della preghiera il suo costume di vita secondo l’insegnamento di San Giovanni Paolo II per il quale il missionario è il contemplativo in azione, non diversamente da Benedetto XVI, la cui vita monastica, dopo la grande rinuncia, è scandita dalla contemplazione e dall’adorazione di Dio, come rivela il cardinale Sarah a lui vicino.

La forza del silenzio per affrontare le aberrazioni della modernità. E’ questo il messaggio della lunga meditazione del cardinale Sarah che si conclude con l’ intenso colloquio con dom Dymas de Lassu, priore della Grande Chartreuse e ministro generale dei certosini, dal quale emerge il senso della vita monastica nel tempo del rumore, vissuta con tenacia, sostenuta da una spiritualità che nulla ha di terreno.

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