Nei giorni scorsi un’altra bocciatura è arrivata da parte delle istituzioni europee all’ultima proposta avanzata dalla signora Nouy, Presidente del Consiglio di Sorveglianza della Banca Centrale Europea, relativa alla copertura dei Non Performing Loans (NPLs).
Questa volta è stato l’ufficio legale del Consiglio dell’Unione Europea, composto dai ministri dei governi di ciascun paese dell’Ue competenti per la discussione, e che assieme al Parlamento Europeo rappresenta il principale organo decisionale dell’unione, a criticare l’approccio che la Bce con la signora Nouy ha finora seguito per quanto concerne l’introduzione di maggiori accantonamenti a copertura delle sofferenze.
La proposta iniziale della Bce, in dettaglio, prevedeva, a partire dal 1 gennaio 2018 la copertura entro due anni delle sofferenze non garantite ed entro sette anni di quelle garantite al 100%, applicando quindi un criterio generale che rientra però all’interno di un perimetro legislativo estraneo attualmente a quello che è il ruolo ed i poteri della Banca Centrale Europea chiamata ad intervenire sulla base di quelle che sono le sue competenze esclusivamente su singoli casi.
Sotto questo profilo, i rilievi evidenziati dai giuristi del Consiglio dell’Unione Europea sull’applicazione dell’addendum nella sua accezione inziale, sono in linea con quelli già espressi pochi giorni prima dall’ufficio legale questa volta del Parlamento Europeo, a conferma della forzatura che l’organo di vigilanza della Banca Centrale Europea sta portando avanti in modo ostinato.
Un’applicazione, quella dell’addendum, che in una situazione di ripresa dell’economia e del credito ancora fragile, rischia di vedere vanificati questi primi concreti segnali di crescita, portando ad una contrazione degli impieghi, tornando a condizionare la politica di finanziamento delle banche che si limiterebbe solo alle grandi imprese. Inoltre, se tale provvedimento ha l’obiettivo di rendere il sistema finanziario e creditizio europeo più solido, non si comprende il perché in tali provvedimenti continui ancora a non tenersi conto dell’esposizione in strumenti derivati che riguarda ancora oggi numerose banche del Nord Europa e si concentri l’attenzione solo ed unicamente sui crediti problematici che interessano maggiormente le banche che sono impegnate nell’attività creditizia tradizionale.
Per questi motivi non possono che essere visti con favore gli interventi del Presidente del Parlamento Europeo e del Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari che hanno ribadito con forza come tali tematiche siano prerogativa degli organi legislativi. La questione, poi, sembra essere stata posta per lo più in termini strumentali dalla vigilanza, soprattutto se si considera che le sofferenze bancarie sono in diminuzione ovunque e, in particolare, in Italia dove il loro ammontare netto aveva raggiunto circa gli 86 miliardi di euro alla fine del 2016 ed è sceso negli ultimi mesi arrivando a 65 miliardi di euro.
Ciò non vuol dire che l’introduzione di regole ancora più restrittive per quanto riguarda la copertura dei crediti problematici non sia desiderabile, ma una maggiore gradualità e realismo sono auspicabili per la ripresa dell’economia e del tessuto produttivo. Qualcosa in questa direzione sembra muoversi, alla luce delle più che pertinenti contestazioni giuridiche sollevate finora, e sembra aver fatto breccia nelle considerazioni fin troppo astratte ed ortodosse della signora Nouy, la quale, tornando sui propri passi, si è detta favorevole ad un prolungamento del periodo di phase in della norma, così come sarebbe lungimirante una sua applicazione limitatamente ai soli nuovi prestiti deteriorati e non alle consistenze.
Aspettiamo quello che sarà il dibattito e come si svilupperà la questione quando l’8 dicembre si chiuderà la consultazione pubblica sul progetto di addendum promossa dalla BCE e saranno resi noti i commenti pervenuti. Ciò che sta emergendo, tuttavia, genera non poche preoccupazioni e interrogativi se l’azione della vigilanza europea, sviluppatasi negli ultimi anni fra mille forzature, debba essere arginata e corretta dagli uffici legali del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue.