Precariato, insufficienza degli organici, forte invecchiamento del personale, liste d’attesa, sprechi: sono i punti critici più evidenti di un sistema sanitario nazionale che però “si discosta nettamente dall’idea diffusa di una sanità pubblica al tracollo e sostanzialmente irriformabile”. L’analisi la fornisce il “Termometro della salute”, il 1° Rapporto sul sistema sanitario italiano – realizzato da Eurispes ed Enpam sotto l’egida dell’Osservatorio su Salute, Previdenza e legalità – che ha privilegiato l’ottica dei cittadini-pazienti pur senza dimenticare temi come la compatibilità dei conti pubblici.
Secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, intervenuta alla presentazione del Rapporto, il Servizio sanitario nazionale “è un paziente la cui salute oggi è buona, ma con elementi di criticità da trattare. Sono molto ottimista – ha detto ancora -, essendo ormai il budget della sanità legato alla crescita, che nella prossima Legge di bilancio le risorse per la sanità, anche quelle del Fondo, possano aumentare”. Lorenzin ha ricordato poi che “in due leggi di Bilancio abbiamo inserito il reinvestimento nel Ssn dei risparmi in sanità e abbiamo cambiato la rotta, guardando al sistema sanitario come a un investimento e non a un costo, mettendo fine ai tagli lineari, nonostante la recessione”.
CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
Nel sistema sanitario nazionale l’Italia investe il 14,1% della spesa pubblica, l’1,1% meno della media europea. Nel Vecchio Continente è l’Irlanda il Paese che dedica a tale voce la quota più alta (19,3%), ma questa spesa incide solo per il 5,7% del proprio Pil a fronte del 7% italiano. Gli operatori impegnati nel settore rappresentano una quota di lavoro rilevante nel nostro Paese: nel 2015 gli occupati sono stati 1.796.000 ma – considerando la quota di lavoro nero e grigio che si annida soprattutto nell’area della cura alla persona – secondo il Rapporto è legittimo ritenere che si debbano aggiungere tra le 300mila e le 400mila unità. Il totale dovrebbe arrivare dunque a circa 2.200.000 addetti, quota vicina al 10% del totale degli occupati in Italia.
Da rilevare che i servizi ospedalieri assorbono il 44,4% degli addetti e di questi ben il 18% svolge mansioni non legate alle professioni del comparto, da cui si evince l’alto livello di burocratizzazione della “macchina sanitaria”.
Altro fenomeno riscontrato è quello della fuga dei medici: dai dati forniti dalla Commissione europea, relativi alle migrazioni dei professionisti, emerge che tra il 2005 e il 2015 sono “espatriati” 10.104 dottori. Meta principale è la Gran Bretagna (33%), seguita dalla Svizzera (26%). Da notare che negli ultimi dieci anni su 100 laureati in medicina che hanno lasciato il Paese d’origine, 52 erano nostri connazionali. “La realtà dei fatti – ha commentato a questo proposito il ministro Lorenzin – è che se un giovane medico va a lavorare altrove, vuol dire che sono state investite risorse a beneficio di altri Paesi. L’Italia si impoverisce del proprio capitale umano, e se non c’è demografia, non c’è crescita economica”.
SPESA FARMACEUTICA
Altra nota dolente è la spesa farmaceutica che è passata da un aumento medio annuo dell’1,2% nel periodo 2002-2006 a un calo del 3,1% negli anni 2006-2010. Ciò ha causato una contrazione della spesa sanitaria totale dal 12,5% del 2006 al 9,9% del 2010. Su questa dinamica, si legge nel Rapporto, hanno influito sia la previsione di un tetto alla spesa per le medicine e il meccanismo automatico di riequilibrio dell’eventuale sfondamento sia l’accresciuto controllo sulle prescrizioni farmaceutiche attraverso il sistema della tessera sanitaria. Ovviamente il contenimento è stato maggiore nelle Regioni sottoposte al Piano di rientro rispetto a quelle “a posto” con i conti.
PUNTI CRITICI
Come si diceva, tra le tante contraddizioni e punti critici, il Rapporto ha evidenziato il precariato e l’insufficienza degli organici e anche il forte invecchiamento del personale sanitario che in alcune aree, e in particolare tra i medici di base e i pediatri di libera scelta, “rischia nel futuro prossimo di generare dei vuoti incolmabili”. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, nel 2012 il comparto assorbiva 45.437 medici di medicina generale. Stando ai dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici di Famiglia, entro il 2023 andranno in pensione circa 21.700 medici di base. A sostituirli si prevede che saranno non più di 6.000 giovani. Tradotto: una carenza di 16 mila medici di base e la quasi certezza che entro i prossimi dieci anni almeno un terzo dei residenti in Italia non avrà il medico di famiglia.
C’è di più: nelle Regioni sottoposte a piani di rientro si fa sempre più ricorso a lavoro precario per sopperire allo scarso numero di personale causato dal mancato turn-over. Secondo cifre relative al 2011, nelle strutture sanitarie pubbliche opererebbero almeno 35 mila precari, tra cui 10 mila medici.
Un capitolo a parte va poi dedicato ai dentisti. Nel nostro Paese nel 2016 lavoravano 37.047 medici odontoiatri ma nella sanità pubblica erano meno di 1.100, ovvero il 2,9%: una delle medie più basse a livello europeo. Dunque, le cure dentarie sono sostanzialmente a carico delle famiglie e incidono parecchio sulla spesa sanitaria totale.
INTRAMOENIA
Altra contraddizione, pure piuttosto stridente, è quella della lunghezza delle liste di attesa per le visite specialistiche e per i ricoveri ospedalieri che ha portato all’ampio utilizzo dell’intramoenia, con il risultato di una forte disparità nell’erogazione della cura sulla base del reddito. Il Rapporto segnala che se la spesa delle famiglie in ticket per il 2015 era di 1.403.626.000 euro, gli italiani hanno sborsato nello stesso anno per l’intramoenia ben 1.118.395.000 euro. Attualmente dall’intramoenia entra nelle casse pubbliche poco più 10% dei volumi generati, circa 150 milioni di euro. La quota di ricavo lordo risulta progressivamente in discesa: circa il 15% nel triennio 2005-2007, intorno al 13% nel 2008. Se si scende dal dato nazionale alla situazione delle diverse Regioni, i risultati non sono omogenei. Ad esempio, nel Lazio i volumi complessivi di intramoenia producono più di 137 milioni di euro, ma nelle casse della sanità regionale rimangono solo 13 milioni. Invece in Lombardia si spendono in intramoenia circa 262 milioni e nelle casse della Regione ne giungono solo circa 18 milioni.
SPRECHI E FENOMENI CORRUTTIVI
Sul fronte delle cattive pratiche e dell’illegalità il Rapporto evidenzia come l’Italia si ponga nei range medi di diffusione a livello Ocse ed europeo. Le stime più accreditate sul tasso di corruzione e di frode nella sanità si situano al 5,59% e perciò, se si applicassero questi valori alla spesa pubblica italiana che vale circa 113 miliardi di euro l’anno, ciò si tradurrebbe in un danno di circa di 6,5 miliardi di euro l’anno. Se poi alla stima dell’impatto della corruzione venisse sommata quella dell’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario (che inciderebbe per il 3% del totale) e il peso degli sprechi, valutato nell’ordine del 18% della spesa totale, l’insieme delle pratiche corruttive, degli sprechi e delle inefficienze, costerebbero ogni anno al nostro Paese ben 23,6 miliardi di euro.
Eurispes ed Enpam hanno dedicato parte della loro analisi anche all’attività delle Forze dell’ordine e all’impatto positivo dell’azione di soggetti come Consip e Anac che negli ultimi anni sono intervenuti sulla razionalizzazione della spesa e sul corretto funzionamento dei soggetti pubblici. In particolare, il Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute nel 2016 ha prodotto 13.881 operazioni di controllo nell’area della sicurezza sanitaria e farmaceutica, ha irrogato sanzioni amministrative per oltre 6,1 milioni e sequestrato beni per un valore di 165,3 milioni. Inoltre sono stati sequestrati 38.002 dispositivi e presidi medici, 727.933 confezioni di farmaci e 473.010 fiale o compresse.
Per quanto riguarda le attività della Guardia di Finanza, nel 2016 le frodi più ingenti hanno interessato le procedure di accreditamento di strutture sanitarie, per un valore economico di oltre 50,4 milioni di euro, seguite – in questa non esaltante classifica – dalle truffe legate alle indebite percezioni di rimborsi e pagamenti da parte del Servizio Sanitario Nazionale (27 milioni di euro) e alle illecite attività lavorative svolte da dipendenti (7,1 milioni di euro). Solo negli ultimi due anni, la GdF ha individuato ben 885 soggetti che, tramite false autocertificazioni, hanno beneficiato di prestazioni farmaceutiche e specialistiche per oltre 800 mila euro.
CAREGIVING
Un aspetto interessante esaminato da Eurispes ed Enpam riguarda poi il fenomeno del caregiving che negli anni aumenterà ancora di più. Nel 2030 infatti l’Istat stima che ci saranno circa 16 milioni di persone con più di 65 anni. Oggi in Italia i caregiver informali, ovvero i familiari, sono circa 14 milioni, il 26,8% della popolazione che generano 3 miliardi di ore di auto l’anno. Esistono poi anche i caregiver formali, rappresentati da professionisti, para-professionisti e volontari associati ad organizzazioni. Considerazione ovvia ma non meno importante: se ai costi “classici” della sanità si aggiungessero anche quelli sostenuti per questo tipo di assistenza, la spesa sanitaria avrebbe una crescita esponenziale.