Il 97% degli italiani soffrono di dolore muscolo-scheletrico, una condizione che impatta negativamente sia sulla qualità della vita che sulla spesa pubblica. Sebbene, però, ci sia una diffusa fiducia da parte degli italiani nei confronti dei medici, dei farmacisti e degli operatori di settore, il 40% di chi soffre di questo disturbo lo fa in silenzio, senza intervenire tempestivamente sul dolore.
Questo è quanto è venuto fuori dal Global Pain Index 2017, indagine promossa da GSK Consumer Healthcare. Abbiamo affrontato l’argomento con il senatore Andrea Mandelli (nella foto), presidente dal 2009 della Federazione Ordini Farmacisti Italiani (Fofi).
Il dolore muscolo-scheletrico, come dimostrato dal recente Global Pain Index 2017, colpisce il 97% degli italiani. Un dato allarmante, soprattutto se si considera quanto impatta sulla qualità della vita di chi ne soffre. Tuttavia, solo il 40% delle persone dichiara di intervenire prontamente, mentre un altro 40% soffre in silenzio. Come si potrebbe intervenire su questo trend?
Non è semplice, anche perché alla base non ci sono soltanto problemi culturali ed economici, ma pesa anche il profilo psicologico del singolo: non tutti danno al dolore lo stesso peso così come spesso c’è la convinzione che non si tratti di una condizione di fondo su cui è possibile intervenire in modo efficace, con la farmacologia, con la terapia fisica ma anche, e con ottimi risultati, modificando lo stile di vita. Quindi innanzitutto occorre un’opera di informazione-sensibilizzazione dei cittadini a non considerare “normale” soffrire di dolore muscolo-scheletrico per la maggior parte del tempo, chiarendo che si può intervenire con l’automedicazione in modo sicuro ma che non è pensabile continuare indefinitamente a tamponare disturbi cronici senza l’intervento del medico di medicina generale e se necessario dello specialista.
Secondo la ricerca, gli italiani hanno un livello di fiducia nei confronti dei medici e dei farmacisti al di sopra della media europea. Secondo lei, come si potrebbe investire in questa fiducia nel tentativo di ridurre l’impatto negativo del dolore muscolo-scheletrico?
Il medico di medicina generale e il farmacista sono in effetti il primo riferimento del cittadino. Dirò di più: qualche tempo fa, sulla Revue Medicale Suisse è stato pubblicato uno studio farmacoepidemiologico dal quale emergeva che se il 45% del campione indagato non si rivolge praticamente mai al medico, soltanto il 16% non si è mai rivolto al farmacista di fronte a un problema di salute, e non necessariamente un problema legato all’impiego di un farmaco. In questo senso, il farmacista entra in contatto con una parte della popolazione che non ricorre al medico di famiglia. Questo significa che è possibile e necessaria una sinergia in cui il farmacista può rinviare al medico i pazienti per i quali l’automedicazione non è la soluzione giusta, per esempio. I professionisti della salute che operano sul territorio possono fare moltissimo anche per diffondere il messaggio corretto, per illustrare uno stile di vita adeguato a evitare o perlomeno alleviare le patologie articolari. E’ vero che oggi le condizioni di lavoro e i ritmi di vita delle società industriali non sono i più favorevoli, ma si deve comunque tenere conto del fatto che il corpo umano non è “costruito” né per stare sempre seduto né per stare costantemente in movimento, che i movimenti ripetuti sono una possibile causa di differenti disturbi dell’apparato locomotore – dall’epicondilite alla sindrome del tunnel carpale – e tutte le altre nozioni necessarie a prevenire i problemi. Anche di fronte a malattie degenerative, come l’artrosi, intervenire nelle fasi iniziali di questo processo permette quantomeno di ridurre le conseguenze peggiori.
Quanto è importante la collaborazione fra pubblico e privato nel perseguimento di questo obiettivo?
Come ormai in tutte le azioni a tutela della salute, e in particolare delle campagne di educazione sanitaria, negli screening di massa, nella costruzione della disease awareness, è fondamentale che tutti gli attori del sistema salute collaborino per raggiungere l’obiettivo di una maggiore informazione del paziente, per diffondere la consapevolezza che chiunque può attivarsi per tutelare e migliorare la propria salute.
Abbiamo letto come l’impatto del dolore muscolo-scheletrico non si propaghi solo sulla qualità della vita, ma anche sulla spesa pubblica. Nell’ultimo anno, gli italiani hanno preso in media 3,3 giorni di malattia con un costo pubblico di 7,9 miliardi di euro. Intervenire su chi soffre di questo tipo di dolore, dunque, non è più solo interesse del singolo, ma dell’intera collettività. Lei cosa ne pensa?
È così per tutte le malattie che presentano sia un carattere invalidante sia una grande diffusione. Aumentare la salute generale della popolazione è sempre vantaggioso anche per una nazione: in questo senso finanziare la sanità, la ricerca, non è semplicemente una spesa ma un investimento che si traduce in un maggior benessere dei singoli, in una minore spesa e in un sostegno alla stessa economia.