“La Cina si integrerà ulteriormente con le regole del commercio internazionale, aumenterà l’accesso al mercato, aprirà sostanzialmente i servizi e i settori finanziari, e creerà un ambiente di investimento più’ attraente”, ha detto Liu He, economista con incarichi di governo a Pechino, membro del politburo del Partito, e principale rappresentante della Cina a Davos. È l’onda lunga dello scorso anno, quando il presidente Xi Jinping – la guida trainante del processo di globalizzazione strategica con cui la Cina dovrebbe diventare la prima potenza al mondo – affascinò con i suoi annunci il parterre globalista riunito in massima assise tra le nevi svizzere.
Quest’anno quel ruolo è toccato al premier indiano Nerendra Modi, che ha ripreso Xi nel suo discorso, invitando alcuni Paesi a porre fine al protezionismo “colpevoli di invertire completamente il flusso naturale della globalizzazione”. Come dire, se anche la Cina lo fa, fatelo tutti: il messaggio sembra diretto – velato dal bon ton e dall’interesse per la crescente partnership strategica – al presidente americano Donald Trump, reo di aver alzato la prima misura commerciale contro Pechino (i famosi dazi sul fotovoltaico, che affascinano qualche politico italiano in cerca di consenso sovranista, ma che sono più un simbolo che un duro colpo).
Liu He ha usato un’immagine: “La nostra porta resterà aperta”, ha detto, per dire che la Cina sarà pronta ad accogliere operazioni esterne, un messaggio importante che però per il momento trova riscontro solo in una sorta di promessa (forse propagandistica), dato che 63 settori dell’economia cinese sono chiusi agli investimenti stranieri. Ma il messaggio globalista è centrale in questo momento in cui Pechino sta lanciando operazioni di portata mondiale come per esempio la Nuova Via della Seta. E infatti, un editoriale del Renmin Ribao, il Giornale del popolo, riprende il discorso di Davos e l’intervento alla riunione Onu di Ginevra dello scorso anno, rinfresca il concetto di “costruire una comunità” (“con un futuro condiviso per l’intera umanità”) scolpito da Xi, e sottolinea che le sue parole “un anno dopo, continuano a essere un importante palcoscenico e il commercio internazionale deve continuare a fluire liberamente”.
Il People’s Daily, come viene chiamato in inglese, è un organo di propaganda del partito che detta la linea politica di Pechino. In Cina c’è una macchina che continuamente lavora per censurare e vagliare il mondo della comunicazione, e niente esce senza l’approvazione del partito, dunque gli editoriali del g iornale non sono stampa ma linee politiche, per questo hanno importanza centrale nel comprendere le mosse cinesi; in questo caso servono a riempire il vuoto dell’assenza del presidente da Davos e a sottolineare che però la sua presenza dello scorso anno ha lasciato una legacy palpabile.
In questi stessi giorni un altro editoriale uscito in una altro organo del Partito comunista cinese, l’agenzia stampa Xinhua, ha criticato i doppi standard utilizzati dal presidente americano Trump, che a Davos – dove lo scorso anno Xi aveva rimarcato l’assenza americana proponendo proprio la Cina come riferimento del mercato globale – ha cercato di spiegare l’American First alla platea che, almeno tecnicamente, è più distante al suo mantra. È la doppia linea di Pechino: elevare il proprio leader, attaccare il suo principale nemico.
Mentre spiegava che se gli Stati Uniti sono prosperi allora anche il resto del mondo lo è – distillato dell’America First in versione internazionalista – il Trump di Davos aveva detto che l’America “non chiuderà un occhio di fronte a pratiche economiche ingiuste”. Aveva evitato di citare la Cina, ma quando parlava di un libero scambio “equo e reciproco” era accompagnato dal peso simbolico di quei primi dazi e soprattuto dagli strali contro lo sbilancio commerciale nei confronti di Pechino. Focalizzarsi eccessivamente sui fattori esterni che hanno contribuito al deficit commerciale degli Stati Uniti, ribatte l’editoriale di Xinhua, “non è obiettivo ed è pregiudizievole”, mentre invece le pratiche protezionistiche della “sua amministrazione” diventeranno un ostacolo nel rapporto con i partner internazionali.
Stessa linea presa anche dal Global Times, altro giornale partitico cinese che pubblica in inglese: Li Ning, ricercatore del dipartimento di Ricerche Scientifiche della Scuola del Partito Comunista Cinese (centro di formazione/creazione dei funzionari del Partito), firma un commento in cui scrive che “la Cina ha proiettato l’immagine di una grande potenza responsabile e ha contribuito alla prosperità comune e al progresso della società umana”, mentre al contrario, l’America di Trump – dice – promuove una politica che si concentra sugli interessi statunitensi, ed è fondata su “un pensiero diplomatico egoista e di vedute ristrette”, l’America First. Citazione inevitabile per Li Ning il primo forum di cooperazione internazionale sul progetto Belt and Road del maggio scorso, perché a Pechino tutto quello che esce pubblicamente, oltre che dettare la linea, deve aver presa e fascinazione nell’ottica del consenso interno.