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Ecco come lo Stato islamico ha rimesso in piedi la sua macchina di propaganda

stato isalmico

Una delle conseguenze della bruciante sconfitta dello Stato islamico in Siria è stata la caduta vertiginosa della sua produzione mediatica. I famigerati video dell’IS erano diventati una sorta di marchio di fabbrica dell’impresa baghdadista, fluivano copiosi dai numerosi canali on line aperti dal gruppo e godevano di un’ampia circolazione grazie alla diffusione che ne facevano i militanti sui propri canali social. Ricca anche la stesura di dichiarazioni, pronunciamenti e comunicati stampa, affidati prevalentemente all’agenzia di stampa ufficiosa Amaq.

Con la caduta di Raqqa a ottobre, questa produzione ha subito una drastica battuta d’arresto. La perdita di territori, attrezzature e soprattutto della volitiva e capace manodopera internazionale di cui godeva lo Stato islamico ha determinato una sorta di tramonto del “califfato virtuale”, elemento centrale dell’identità di un movimento che ha sempre puntato a ispirare i propri seguaci con materiali d’impatto, di ottima fattura e soprattutto di grande pervasività.

Secondo un rapporto di Bbc Monitoring, il califfato virtuale sembra però essersi rimesso in movimento. Dopo la pausa dei mesi scorsi, quando la produzione mediatica complessiva ha contato 308 item a novembre e 326 a dicembre, a gennaio il numero è salito vertiginosamente, raggiungendo le 673 unità: non proprio come nei momenti di picco, ad esempio a gennaio 2017, quando i materiali prodotti superavano il migliaio, ma certamente un salto quantitativo notevole. Un’evoluzione che fa pensare ad una rinnovata strategia di comunicazione oltre che ad una ripresa delle attività di combattimento dell’IS, che il gruppo ha sempre voluto documentare con le telecamere o con attività para-giornalistiche.

Non possiamo parlare di un vero e proprio ritorno agli antichi splendori. All’appello mancano ancora alcuni elementi di grande prestigio ed efficacia che hanno caratterizzato la propaganda del califfato al suo apogeo. Risulta ancora assente ad esempio la rivista Rumiyah, che lo Stato islamico ha prodotto mensilmente dal 2014 in dieci lingue: un asset fondamentale per un gruppo che ambiva a coltivare un seguito internazionale. Tace anche la radio al-Bayan, da cui si potevano udire in certe occasioni i sermoni del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Ma negli altri canali digitali, la voce dello Stato islamico è tornata a farsi sentire.

In aumento i pronunciamenti e le dichiarazioni dalle “province”, che dai 52 di ottobre, 38 di novembre e 52 di dicembre sono balzati a gennaio a quota 234. E l’IS continua a produrre la sua serie di video in inglese intitolata “All’interno del califfato” con la stessa qualità di prima. A novembre, inoltre, il gruppo è riuscito a realizzare uno dei suoi filmati spettacolari, intitolato “Flames of War II”, con gli stessi effetti speciali cui lo Stato islamico ci aveva abituato negli anni precedenti.

A gennaio lo Stato islamico ha emesso un totale di 289 comunicati sulle proprie attività militari , anche qui in aumento rispetto alle 196 di dicembre e alle 159 di novembre. La maggior parte di questi testi riguardavano la Siria (150), mentre le altre riferivano di combattimenti effettuati in Iraq (69), Afghanistan (22), Egitto (19), con numeri residuali per Somalia, Niger e Pakistan e le altre “province” del califfato. Le clip prodotte dall’agenzia Amaq, anch’esse specializzate nella documentazione delle attività militari, a gennaio risultavano 43, ben più delle 11 di ottobre, 10 di novembre e 7 di dicembre. Se ne può desumere che la bellicosità dello Stato islamico non è stata affatto domata.

Ci sono fermenti anche sul canale su cui lo Stato islamico aveva ripiegato dopo che le principali piattaforme social come Facebook e Twitter avevano impiegato contromisure per evitare di essere usate come veicoli di propaganda. Dal 7 febbraio, la rete dei canali Telegram affiliati nota come Nashir News Agency ha ripreso a offrire traduzioni in inglese dei rapporti ufficiali prodotti da Amaq e dalle province del califfato.

Da segnalare quindi che il settimanale in arabo al-Naba continua a uscire regolarmente. Le quattro edizioni di febbraio sono state pubblicate lo stesso giorno – il giovedì pomeriggio – dopo che, nei mesi precedenti, il giorno di uscita era stato ritardato al venerdì.

Se dunque il sogno imperiale del califfo è svanito sotto l’onda d’urto dei bombardamenti americani e dei combattimenti delle forze curdo-arabe dell’SDF, non lo stesso può dirsi per l’ambizione del gruppo di alimentare il proprio pubblico con vivaci resoconti della propria epopea. E nell’era del terrorismo “ispirato”, dove chi entra in azione lo fa dopo essere stato suggestionato dalla visione di un video eroico o “cool”, questa non è certo una buona notizia.


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