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Lisa Ginzburg torna a casa. Il suo nuovo viaggio raccontato da Cesare De Michelis

Buongiorno mezzanotte, torno a casa Lisa Ginzburg

Il tema del viaggio riassume uno degli archetipi dell’avventura esistenziale, quando per un verso un’ansia di libertà scioglie i vincoli che pur ci legano alla patria, al luogo d’origine, alla madre terra, nella quale sono cresciute le nostre radici, o per l’altro la lontananza riaccende improvvisamente il rimpianto e ha la meglio il richiamo della nostalgia, l’urgenza di tornare. Lisa Ginzburg sta proprio sul crinale, incerta sulla scelta da fare, tentata da entrambe le vie che ha dinanzi, e si interroga sul perché di un dubbio così radicale e decisivo: da un lato il dispatrio, che è quasi un esilio, anche se liberamente accettato senza imposizioni di sorta, e dall’altro la curiosità che si accende e rinnova inesauribile e rafforza la voglia di andare, che “tempra l’animo” e “costringe a stare dritti”.

“Sono anfibia, scissa”, riconosce, “un occhio al presente, l’altro ossessivamente puntato sul passato”, eppure questa interiore doppiezza frena la scelta piuttosto che accelerarla, nel senso che proprio il rimpianto, “in modo impercettibile, carsico”, aiuta ad ambientarsi nell’altrove, paradossalmente “volando, intanto facendo di tutto per radicarsi”, in un “transito duraturo” che a sua volta si rivela limpido “ossimoro supremo”. Il viaggio, anche nell’immaginario dell’Ulisse omerico, ha la sua meta nel ritorno, è un cerchio che si chiude esattamente dove ha avuto inizio, tuttavia a questa figura rassicurante si oppone sin dall’antichità la malia di un percorso senza fine che descrive una linea che avanza spavalda nel futuro, rinnovando giorno dopo giorno l’emozione della scoperta e della conoscenza: l’Ulisse dantesco, presa coscienza “della difficoltà di tornare sui propri passi”, smania di ripartire sfidando l’ignoto. Lisa finisce per stare ferma, per radicarsi nell’altrove che essa stessa si è scelta, struggendosi di rimpianti: “Lontana dall’Italia, penso di continuo all’Italia”; il suo Paese le piace di più, “molto di più”, ma intanto aspetta, indugia, procrastina e non torna, perché “tornare è resa, per certi versi”.

Non c’è modo di essere se stessi senza allontanarsi da casa e poterci osservare “da fuori”, solo da questa prospettiva capovolta riusciamo ad arricchire “la nostra vita interiore”, cosicché lo spegnersi del desiderio di vivere altrove segnala un lento impoverimento dell’invenzione e dell’estro, un esaurirsi della creatività. Già nel suo romanzo d’esordio – Desiderava la bufera (2002) – affermava che “bisogna scrivere solo di quel che ci appartiene davvero, e farlo senza freni”; ora, anni dopo, per lo più trascorsi a Parigi, Lisa tiene fede a quell’originario proposito, cosciente che con gli spazi i conti faticano a tornare e ogni scrittore li chiude a modo suo, perché “ricordare un passato avvenuto in un luogo che dal passato è ossessionato” comporta mettere in gioco tutte le energie. In realtà la scelta tra qui e altrove resiste come un rovello tormentoso che non dà pace: se si torna bisogna “riuscire”, ma se ci si blocca bisognerà lasciare al disagio di trovare spazio e parole nell’invenzione: “Che lo si ami o invece non lo si sopporti più, l’essere lontani da casa fa soffrire”, ma la casa a cui tutti vogliono tornare “non c’è più” e non è il viaggio che riesce a frenare le “inquietudini che nulla hanno a che fare con la geografia, e tutto invece con la storia”.

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Lisa Ginzburg

Buongiorno mezzanotte, torno a casa

Italo Svevo pp. 74, € 12

 


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