Siamo arrivati al capolinea. O comunque tra oggi e domani il grande stallo, determinato due mesi fa con le elezioni, dovrebbe trovare un primo approdo, arrestandosi in una stazione intermedia. Il discorso che Sergio Mattarella ha fatto lunedì ha segnato le tappe di un processo di sospensione della democrazia a vantaggio della democrazia. Il frazionamento in tre del corpo elettorale, rappresentato in Parlamento, non ha dato, infatti, risultati numerici sufficienti ad avere una maggioranza politica: ecco quindi che, a norma di Costituzione, adesso tocca al capo dello Stato offrire un Governo al Paese.
Non è il massimo della vita, ma è la vita della Repubblica. Al presente, se tutto procederà come sembra invero ineluttabile, non esiste altra strada che avere a breve un Governo neutro di servizio, trovandosi presto a votare di nuovo sotto la canicola estiva o sopra le foglie rosse autunnali. D’altronde, la migliore ipotesi straordinaria che il Quirinale ha pensato, vale a dire avere un esecutivo annuale corroborato dalla fiducia delle Camere, non è stata assecondata per niente. Il M5S ha già le valige pronte per la campagna elettorale; il Centrodestra in blocco negherà la fiducia al “Governo Mattarella”. Per cui, la conclusione della Legislatura è l’unica predestinata, nonostante la responsabilità istituzionale del Pd.
Tutto ciò, d’altronde, è supponibile anche con una banale riflessione. La fenomenologia della crisi ha mostrato il rush della democrazia diretta, creando l’irrisolto esito elettorale del 4 marzo e il bisogno da parte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio di andare alla resa dei conti nel bagno di folla, attraverso cioè un ballottaggio mediatico-elettorale. Come biasimarli, d’altronde. I due nuovi campioni della politica italiana hanno vite parallele quasi plutarchiane. Governano insieme o non governano insieme, e vogliono vincere o perdere congiuntamente, con giudizio popolare, senza perdere nulla del proprio capitale on the road. La loro querelle somiglia ad un incontro di Boxe, nel quale l’arbitro viene cazzottato se interrompe il match prima del tempo.
La tenue speranza di poter giungere all’agognatissima maggioranza Lega-5Stelle continua a fare un passo in avanti e due indietro. Il tempo corre però inarrestabile, e l’epilogo sembra ormai riservato al Colle, non dando credito a improvvise soluzioni sui veti incrociati. Silvio Berlusconi potrebbe sempre fare un passo indietro da un momento all’altro, anche se, sebbene sia assediato da Mediaset e dai suoi parlamentari che insistono terrificati dalla propria probabile morte elettorale, egli non può cedere alla volontà altrui senza affogare la grandeur in un ruolo politico subalterno e umiliato.
Tutto è complesso ma tutto è anche molto chiaro, a ben vedere. Due uniche valutazioni restano da fare. Votare è sicuramente una iattura. E il Governo neutro non è neutro se non in apparenza, dato, non da ultimo, il sostegno precoce e intempestivo offerto a priori dal Pd: per essere neutro il nascituro esecutivo dovrebbe, oltretutto, avere nei dicasteri alieni o stranieri (Dio ce ne guardi), e non cittadini italiani qualificati, che come tali sono animali politici più e meglio degli altri seduti in Parlamento. Un’ultima piccola nota può semmai essere aggiunta a margine di questo desolato pensiero. Nel preciso momento in cui Mattarella ha deciso di non dare un preincarico al Centrodestra ha optato per una soluzione politica, che è politica proprio in quanto neutrale. Adesso sarà la sua soggettività a dare la linea alla nazione, assumendosene con coraggio le relative pesanti responsabilità.
In caso di sfiducia, tale esecutivo sarà, in effetti, il più repubblicano e il meno democratico dei Governi fin qui immaginati. Sicuramente meno democratico di un esecutivo di Centrodestra bocciato in aula, il quale, sebbene di parte, avrebbe almeno potuto vantare il 37 % dei consensi. La fiducia di infrangere l’incantesimo tecnico è, in ogni modo, sempre l’ultima a morire. Anche perché ragione vorrebbe che Forza Italia rinunciasse in extremis alla ripicca e si facesse di lato per garantire ai Cinquestelle e ai propri alleati leghisti la creazione di un Governo politico.
Se così non sarà, ci troveremo a dover sperare che i nomi indicati, con la clausola della non eleggibilità futura, riescano insieme al nuovo presidente del Consiglio perlomeno a non alimentare ulteriormente il populismo e il disprezzo che la gente cova e nutre contro il Palazzo, con l’annessa, concessa e connessa divaricazione sempre più incolmabile tra Stato Repubblicano e Sovranità Democratica.