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Perché non possiamo non apprezzare la potenza degli Usa. Parla Dottori (Luiss)

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A ben guardare, il contratto di governo Lega-5Stelle potrebbe in realtà esprimere maggiore continuità rispetto a quanto ci si aspettava, almeno sul dossier Esteri. L’eliminazione dell’immediatezza del ritiro delle sanzioni pare indicare che i messaggi partiti da Washington siano arrivati a destinazione, mentre a Trump potrebbe addirittura piacere l’intenzione di mitigare il “vincolo esterno” dell’Unione europea. Ne è convinto Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss Guido Carli e consigliere scientifico di Limes, con cui abbiamo parlato del programma gialloverde, ma anche delle più ampie dinamiche internazionali, dagli Stati Uniti di Trump, ai rapporti “molto complessi” che stanno costruendo Angela Merkel e Vladimir Putin.

Partiamo dal rapporto con gli Usa. Lei ha recentemente affermato che “apprezzare realisticamente la potenza degli Stati Uniti e rispettarla serve ad evitare passi velleitari”, è “un modo intelligente di fare gli interessi nazionali”. Cosa intendeva?

Intendevo dire che gli Stati Uniti comprendono bene gli interessi dei loro alleati, ad esempio quello italiano a garantirsi adeguati approvvigionamenti energetici a prezzi stabili, ma non accettano l’adozione di narrative che mirino a sfidarli apertamente. Ne va del loro status. Anche in questi giorni, non fanno che ricordarci in ogni modo possibile che, in fondo, le sanzioni alla Russia non pesano molto e sono perfettamente sopportabili, a prescindere da come i costi si distribuiscano sui nostri territori. Mentre non accettano la fronda, perché porrebbe in discussione la loro supremazia. Qui non si tratta neanche di Trump, che in realtà non crede minimamente alla possibilità di recuperare la Crimea all’Ucraina e neppure gli interessa. Le sanzioni le vuole soprattutto il Congresso, che sul punto ha commissariato il Presidente. Siccome gli Stati Uniti sono più forti che mai, è meglio rispettarli. Non si tratta di adottare atteggiamenti servili, ma di apprezzare realisticamente cosa sono loro e cosa siamo invece noi. Dei margini li abbiamo, ma la nostra narrativa deve essere prudente.

Nella versione definitiva  del contratto di governo Lega-5Stelle è sparito il termine “immediato” con riferimento al ritiro delle sanzioni alla Russia. Come interpreta questa modifica?

Che il messaggio è stato recepito. Pur segnalando un’insofferenza diffusa per il regime sanzionatorio che applichiamo e la speranza che si possa superarlo, le forze politiche del “contratto” confermano di non voler rompere le righe nell’immediato, in attesa di tempi migliori e soprattutto della ripresa del dialogo tra Mosca e Washington. Del resto, non è possibile, specialmente nella condizione di forte debolezza attuale che contraddistingue il nostro paese, aprire contemporaneamente dei contenziosi con i tedeschi e gli americani senza correre gravi pericoli. Si darà precedenza alla mitigazione del “vincolo esterno” europeo, anche per provare ad imprimere uno shock espansivo alla nostra economia o quanto meno dare un segnale. Se l’idea è quella di indebolire i tedeschi, a Washington potremmo anche trovare sponde. Temo però che Bce e mercati possano reagire alzando i tassi d’interesse. Vediamo cosa succederà. La partita non è solo tecnico-economica, ma politico-strategica.

Sempre sul programma giallo-verde, si ribadisce la presenza nella Nato e l’alleanza strategica con gli Stati Uniti, ma anche la partnership con la Russia. È un doppio binario sostenibile?

Dipende da come viene declinato. Impostata in questo modo, mi sembra sia una politica che si pone nel solco della continuità con quella finora praticata. Sul sito internet della Farnesina, a proposito dei rapporti bilaterali italo-russi, ancora oggi si legge: “Sosteniamo la necessità di un approccio inclusivo, che incentivi la Russia a collaborare alla ricerca di soluzioni condivise ai principali problemi globali, incluso il contrasto all’estremismo violento, ed alle maggiori crisi internazionali”. Non intravedo strappi, anche se potranno verificarsene eventualmente in occasione di singoli casi concreti, chiunque governi.

Eppure, l’ambasciatore statunitense in Italia, Lewis Eisenberg, ha recentemente invitato l’Italia a prendere una posizione chiara sulla Russia (qui l’articolo). Sembra che per Washington non ci sia spazio per tale doppio binario. È d’accordo?

Fino ad un certo punto. Per gli americani, incredibilmente, ciò che conta è ciò che si dice, la narrativa ufficiale, ovvero l’enunciazione delle ragioni per cui si privilegia un corso politico invece di un altro più gradito. Non vogliono che i loro partner o alleati offrano sponde politiche a coloro con i quali loro abbiano in piedi un contenzioso. Al cosiddetto “doppio binario” si è improntata persino la condotta del presidente Gentiloni, che oggi parla di scelte di campo chiare, ma ha più volte tentato in sede europea di porre in discussione la prassi dei rinnovi automatici delle sanzioni, la prima quando era ancora ministro degli Esteri. Fu infatti Matteo Renzi in persona ad ordinargli di piantare la grana, pochi giorni dopo aver promesso solennemente ad Obama, nel cosiddetto Quint riunitosi al margine del G20 di Antalya, che l’Italia non avrebbe mai sollevato problemi a confermare le sanzioni. Diciamo che ci vuole accortezza, la stessa di cui demmo prova durante buona parte della Guerra Fredda.

Si avvicina il Summit Nato di Bruxelles, mentre pochi giorni fa, Trump e il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg hanno ribadito l’invito agli alleati a rispettare l’obiettivo del 2% del Pil alla difesa, un tema su cui Lega e 5 Stelle non hanno mai mostrato particolare attenzione. Come si presenterà l’Italia?  

Non credo in termini molto diversi da quelli del passato. Però osservo un paio di elementi. Il primo: se il bersaglio primo dell’azione del nuovo governo fosse la mitigazione del “vincolo esterno” europeo che condiziona attualmente la spesa pubblica, potrebbero crearsi spazi anche per qualche incremento degli investimenti in campo militare. Non credo che i maggiori programmi verranno ridiscussi. Comunque, ed è il mio secondo rilievo, il benchmark del 2% del Pil non è Vangelo. Non conviene neanche agli Stati Uniti che gli alleati vi si uniformino davvero. Me lo facevano notare alcuni amici di grande esperienza e capacità professionali. Se la Germania onorasse la richiesta americana, finirebbe con il destinare alla sua Difesa un’ottantina di miliardi di euro all’anno. Si immagina le reazioni sulle percezioni di sicurezza nel nostro continente? Tornerebbe ad affacciarsi lo spettro del militarismo tedesco. Immagino come la prenderebbero francesi e russi. Ci sarebbero conseguenze anche sul piano industriale – e non benigne – per gli interessi americani. Io credo che l’insistenza di Trump sul burden sharing nasconda altro.

Ci spieghi meglio.

Siccome gli Stati Uniti non vogliono più impegnarsi in prima linea, e non da oggi, ma almeno dai tempi di Obama, è bene che gli alleati si attrezzino a fare da soli. L’America transiterà dal controllo di prossimità ad uno “in remoto”. Anzi, lo sta già facendo da tempo. Il Global Prompt Strike a questo serve. Persino la grande US Navy si avvia a cambiare postura, privilegiando la rapidità di reazione ai lunghi cicli di permanenza in mare delle varie flotte. Questo crea spazi anche per noi. Perciò dovremmo spendere di più e meglio, per i nostri interessi diretti. In futuro non saranno altri a venirci a togliere le castagne dal fuoco. Quel mondo è finito, siamo tornati nella realtà della competizione geopolitica integrale, in cui a sfidarci potrebbero essere anche i nostri alleati. In fondo accade già, pensate alla Libia di sette anni fa o al caso della Saipem 12000.

Qualche giorno fa, lei ha affermato via Twitter che il “programma economico del contratto potrebbe per alcuni versi piacere” a Trump, poiché “indebolisce la Germania”. Ritiene dunque che gli Usa potrebbero sopportare una posizione più morbida nei confronti di Mosca a fronte di un’opposizione alle posizione tedesche nell’Ue?

Sono dossier differenti. Che in Italia possa esser adottata una politica fiscale che rappresenta un problema per i tedeschi, non credo dispiaccia a Trump. Non credo lo rattristi neanche l’eventualità che un governo a forte partecipazione leghista inizi a contrastare la penetrazione dei capitali cinesi nel nostro paese. La Russia per il presidente americano è invece secondaria, anche se alcuni settori del sistema politico Usa vogliono metterla sotto forte pressione. Trump non temeva neanche l’Urss di Breznev. Di Gorbaciov poi predisse la caduta un anno prima che si verificasse. La logica è elementare: siccome la Russia non è ricca e non distrugge posti di lavoro americani, per il tycoon non è una vera minaccia. È il Congresso a pensarla diversamente.

Intanto, Angela Merkel è volata a Sochi per incontrare Vladimir Putin per discutere, tra le altre cose, dell’Iran. Il ritiro Usa dall’accordo nucleare e le relative “massive” sanzioni che Trump ha annunciato, potrebbero creare un asse tra Berlino e Mosca? Quali conseguenza avrà?  

Tra Berlino e Mosca ci sono rapporti molto complessi. È la Germania ad aver sottratto l’Ucraina all’influenza russa, dando il proprio placet all’Accordo di Associazione all’Ue che peroravano soprattutto i baltici. E nelle intenzioni di Berlino, Yanukovich avrebbe dovuto cedere il potere a Vitaly Klitchko, punto di riferimento della Fondazione Adenaeuer a Kiev. Gli americani non gradirono, come sappiamo dalla celebre invettiva della Nuland, e ci misero del loro per neutralizzare le ambizioni tedesche. All’ombra della Nato succedono ormai tante cose. Germania e Russia cooperano in molti campi ed un certo grado di integrazione tra le risorse energetiche russe e le capacità manifatturiere tedesche è nella logica delle cose. Il punto è che Berlino mira a ricostruire la partnership con una Russia che deve essere preventivamente indebolita in modo consistente. È la storia del Novecento che ritorna. I fatti sono noti: gli anglosassoni furono in entrambe le guerre mondiali dallo stesso lato dei russi. Contro la Germania.


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