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Tra foreign fighter e rischi del web il terrorismo si batte anche nelle scuole

minniti strasburgo

La partita dell’antiterrorismo si gioca sulla prevenzione. È intorno a questo concetto che si è dipanato l’ampio dibattito alla conferenza organizzata dall’Ispi e dal programma sull’estremismo della George Washington University di Washington per presentare lo studio “Destinazione jihad. I foreign fighter d’Italia” curato da Francesco Marone e Lorenzo Vidino e pubblicato contestualmente al numero speciale della rivista dell’Aisi Gnosis sulla deradicalizzazione. Secondo le informazioni più recenti, i foreign fighter italiani sarebbero 131 su un totale quantificato a spanne in 60mila provenienti da 110 Paesi. Lo studio dell’Ispi ne approfondisce 125: Vidino ha spiegato che l’apice del jihadismo di casa nostra è stato raggiunto tra il 2014 e il 2015, i foreign fighter italiani hanno un’età media di 30 anni, mentre nelle altre nazioni sono tra i 22 e i 24 anni, e solo 11 sono nati in Italia. Una curiosità è che parecchi provengono da città medio-piccole come Ravenna o San Donà di Piave mentre nessuno per esempio da Palermo o Napoli. Il 44 per cento ha precedenti penali e il 22 per cento è stato in carcere.

LA COLLABORAZIONE CON GLI INSEGNANTI

È toccato a Valerio Blengini, vicedirettore esecutivo dell’Aisi (l’agenzia di intelligence interna) andare dritto al punto: la prevenzione dell’intelligence consiste nell’agire “in contesti non fragili, ma più aggredibili perché meno forti ideologicamente” e per fare questo “abbiamo esteso in modo rilevante la copertura”. Sono 80 i soggetti finora entrati nel mirino dei servizi segreti e dell’antiterrorismo: “In parte sono stati espulsi – ha detto Blengini -, alcuni nomi sono stati inseriti in banche dati e indicati come pericolosi, altri sono stati affiancati”, sottintendendo l’uso di infiltrati, e su altri ancora c’è “attività di osservazione”. Il bilancio è positivo, ma “non possiamo fare tutto da soli, occorre una rete: serve un raccordo con la scuola e formare gli insegnanti su come s’innesca un percorso pericoloso; un raccordo con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, perché seguiamo i sospetti anche quando escono dal carcere; un’attività sui media per eliminare i siti jihadisti e inserire una contronarrativa”.

NON SOTTOVALUTARE AL QAEDA

Molta acqua è passata sotto i ponti dalle investigazioni classiche degli anni Novanta sul Gia algerino o su al Qaeda. Il comandante del Ros dei Carabinieri, generale Pasquale Angelosanto, ha ricordato l’evoluzione qaedista da organizzazione alle cellule indipendenti emerse con l’attentato di Londra del 2005 per arrivare alla comparsa del Califfato con “una struttura operativa simile ai nostri servizi di sicurezza, individuando gli obiettivi e attivando le cellule”. Nella competizione per la leadership jihadista, al Qaeda si contraddistingue nel non colpire islamisti mentre l’Isis “colpisce anche islamici ritenuti apostati”. Il pericolo, però, è vicino: nel Maghreb, ha detto Angelosanto, “al Qaeda si è rafforzata moltissimo ed è pronta a colpire. Non va sottovalutata”. Invece, con la nascita del fenomeno dei lupi solitati, gli investigatori hanno spostato l’attenzione dai luoghi fisici, come quelli di culto, al web arrivando così all’arresto del singolo quando è in corso la radicalizzazione.

LA REVOCA DELLA CITTADINANZA

“La caduta dell’Isis ha sparigliato le carte, c’è un ritorno al passato con un jihad senza leader” ha rilevato Claudio Galzerano, direttore del Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo esterno della Polizia di prevenzione, che ha garantito la verifica di ogni segnalazione e “una capillarità informativa che passa dalla conoscenza del territorio”: il caso di Anis Amri, l’autore della strage di Berlino poi ucciso dalla Polizia a Sesto San Giovanni, è stato ricordato per la sottovalutazione fatta in Germania nei suoi confronti mentre “qui non si sarebbe verificato perché abbiamo gli strumenti e la mentalità adatti”. C’è un punto che a Galzerano e agli altri dirigenti dell’antiterrorismo sta a cuore: i rischi che in futuro l’Italia potrà avere dalle seconde generazioni. Le 289 espulsioni dal gennaio 2015 a oggi sono state possibili perché non si trattava di italiani, ma in futuro potrebbero esserci problemi: “Chi acquisisce la cittadinanza italiana giura sulla Costituzione, ma se poi giura anche fedeltà ad al Baghdadi le due cose non sono compatibili: in questi casi bisognerebbe prevedere la revoca della cittadinanza”.

IL RUOLO DEI GIGANTI DEL WEB

L’importanza della collaborazione con i grandi provider è stata confermata da Diego Ciulli, Public Policy Manager di Google Italia: “Un anno fa eliminavamo immediatamente, cioè prima di 10 visualizzazioni, l’8 per cento dei video inneggianti al terrorismo, oggi siamo al 50 per cento e la quasi totalità è individuata grazie ad algoritmi”. Per arrivare a questo risultato i tecnici di Google hanno visionato un milione di video concorrendo a creare l’algoritmo giusto: “Dobbiamo essere più bravi dei terroristi nell’usare il web.

Su questo punto l’esperienza della Spagna è diversa. Infatti “il 70 per cento dei soggetti si è radicalizzato con contatti personali e non sul web” ha spiegato Fernando Reinares, direttore del Programma sul terrorismo globale del Real Instituto Elcano di Madrid. I foreign fighter spagnoli sono 223 (dati a settembre 2017), l’80 per cento sono stranieri e quasi tutti marocchini, hanno tra i 18 e i 40 anni. Sono morti in 48 e 37 sono tornati dai teatri di guerra anche se alcuni sono in altri Paesi europei. Un dato accomuna Italia e Spagna, ha detto Reinares: “Sono tra i cinque Paesi europei con il maggior numero di musulmani, ma hanno una radicalizzazione più bassa di altri”.

I RISCHI DEL CARCERE

Il monitoraggio dei detenuti è parte fondamentale nella prevenzione. Santi Consolo, direttore del Dap, ha confermato che “in un carcere è molto facile agevolare il proselitismo” e per questo da quattro anni “raccogliamo notizie a livello centrale incrociandole con le informazioni su tutto ciò che sappiamo riguardo al singolo soggetto”. Il vero problema, ha lamentato Consolo, è rappresentato dalla carenza di notizie sulle condizioni psichiche dell’individuo perché la fragilità agevola il proselitismo: “Con l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari è sorto il problema per la carenza di posti nei Rems (le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive riservate ai malati di mente, ndr) e anche i centri di igiene mentale sono insufficienti”. Molta attenzione è prestata ai 3.685 detenuti marocchini e ai 2.145 tunisini, il 55 per cento dei quali è connesso a fatti di terrorismo.

I RAPPORTI CON IL NORD AFRICA

Marco Minniti, oggi deputato del Pd e fresco ex ministro dell’Interno, a chiusura del convegno ha invocato un “salto di qualità nello scambio di informazioni” a livello internazionale e, senza citare il suo successore Matteo Salvini, ha definito “un piccolo gioiello da tutelare a tutti i costi” il rapporto instaurato dall’Italia con il Nord Africa. In particolare “il rapporto con la Tunisia è fondamentale non solo per l’immigrazione, ma soprattutto per il terrorismo” considerando l’altissimo numero di foreign fighter tunisini. “Non abbiamo certo interesse a una sua destabilizzazione”.



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