Mentre Donald Trump è a Helsinki per incontrare Vladimir Putin, i due più importanti leader dell’Unione europea, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, sono a Pechino per vedere Li Keqiang, il primo ministro cinese.
In un’intervista alla CBS dalla Scozia (tappa di relax golfistico prima dell’incontro con il leader russo, tipo di personaggio da cui, secondo il Guardian, il presidente americano è affascinato), Trump ha detto di non andare a Helsinki con grosse aspettative, e ha definito l’Ue “un nemico” come lo sono “in parte Cina e Russia”: le parole del presidente americano danno il senso dell’importanza di questi incontri incrociati.
“Siamo amici”, non può negarlo è stata la replica del presidente del Consiglio europeo, Tusk, ma è evidente che lo stesso spostamento dei due papaveri di Bruxelles verso la capitale cinese è un segnale di come questa amicizia sia competitiva. Con Washington che sta spingendo l’acceleratore sul confronto a tutto campo con la Cina, e l’Europa che cerca a Pechino una sponda internazionale da piazzare su una potenza in ascesa e un mercato gigantesco (con interesse reciproco).
Se sul vertice Trump/Putin c’è poca certezza riguardo ai contenuti (si potrebbe parlare del Russiagate, tornato a essere caldissimo e problematico negli ultimi giorni; oppure di Ucraina e Siria, ma secondo le informazioni della columnist russo-americana del New Yorker Masha Gessen saranno evitati argomenti che potrebbero aumentare la tensione tra i due paesi; e allora, sapere di cosa si parlerà è, oggettivamente, una cabala, con le photo opportunity collegate che saranno le vere protagoniste), i due europei in Cina hanno un’agenda.
Tusk e il collega a capo della Commissione europea, Juncker, parleranno soprattutto di business, che però significa anche asset strategici: si lavora su un piano per garantire un maggiore accesso agli investitori stranieri e per eliminare gli ostacoli che hanno impedito alle società europee di operare (bene) in Cina. L’incontro è “scheduled” da tempo, spiegano fonti europee che non vogliono calcare su questa delicata sovrapposizione, è nell’ambito del dialogo annuale Cina-Ue, ma arriva in un momento di particolare congiuntura tra Pechino e Bruxelles, legata anche (soprattutto?) alle scelte e alle posizioni prese da Washington.
Trump ha colpito sia l’Europa che i cinesi con misure commerciali pesanti – su alluminio, acciaio e altri prodotti – e ha pesantemente pressato gli europei in ambito Nato; prima del summit della scorsa settimana, l’americano aveva definito la missione con cui avrebbe incontrato i partner al quartier generale dell’Alleanza “la più difficile” del viaggio che poi lo avrebbe portato in Inghilterra e infine faccia a faccia con Putin; e davanti al governo inglese, tra l’altro, ha calcato la mano sulla necessità di una “hard-Brexit“, più dura con l’Europa a cui Londra avrebbe dovuto “fare causa”, che lui avrebbe sponsorizzato (alla faccia di Bruxelles) con un accordo bilaterale con il Regno Unito.
C’è “ancora tempo” per evitare situazioni che possano portare “conflitto e caos”, ha detto Tusk appena arrivato a Pechino: “È un dovere comune dell’Europa e della Cina, ma anche dell’America e della Russia, non distruggere [l’ordine commerciale globale] ma migliorarlo, non iniziare guerre commerciali che si sono trasformate in guerre ardenti così spesso nella nostra storia”.
Questa spinta verso l’armonia è particolarmente apprezzata dal Dragone, su tutti proprio dal presidente Xi Jinping, che sta lavorando verso la costruzione di una super-potenza cinese; una realtà globale che però riesca a muoversi in modo soft, sotto traccia e senza essere troppo impattante (o almeno, esserlo ma lontano dai riflettori: l’opposto della diplomazia urlata e minacciosa di Trump).
Un lavoro che dura da anni, che sta dando i suoi frutti e sta venendo a galla con un Xi più assertivo. Chiusi gli incontri di questi giorni, il cinese sarà in Medio Oriente, a consolidare una partnership strategica con gli Emirati Arabi, costruita per anni attorno al soft power (cultura, turismo, istruzione).