Trump e May si sono salutati la scorsa settimana mettendo in subbuglio la agenzie che avevano battuto in anteprima l’epilogo dell’atteso summit. E se il primo ministro inglese è, da oltre dieci giorni, impegnato a mettere d’accordo il suo partito per partorire l’agognata Brexit, il tycoon le ha consigliato di tagliare corto e intraprendere un’azione legale contro Bruxelles piuttosto che perdere tempo con i negoziati. È così che Trump le ha dato la lista dei suoi migliori avvocati di New York. E, probabilmente, quando a Bruxelles le hanno bocciato, qualche ora fa, in otto minuti, i piani su cui Londra lavora da due anni, forse Theresa May ci avrà fatto qualche pensierino.
Il capo negoziatore della Brexit per l’Ue, Michel Barnier, ha messo in discussione una serie di punti del “white paper'”uccidendo, in breve, la proposta della May. Sotto i riflettori l’accordo doganale e l’area di libero scambio.
Come previsto, Michel Barnier non ha detto un esplicito “no” a titolo definitivo per liquidare Londra, al contrario ha elogiato il white paper individuandolo come “un’ottima base da cui partire”. Un fragile contentino, quasi una presa in giro, rispetto a una proposta che è costata a May le teste di David Davis e Boris Johnson. I burocrati di Bruxelles hanno fatto sapere che il white paper li ha lasciati piuttosto disorientati, come in una sorta di “distorsione temporale” – così hanno detto – con da un lato la Gran Bretagna e le sue richieste per il futuro, dall’altro l’Ue che conosce solo il tempo presente.
Il dibattito è feroce e continua ad agitare le acque inglesi, e Barnier sa bene dove pungolare. Tant’è vero che il capo negoziatore della Brexit ha fatto di tutto per evitare di dire che il “libro bianco” non è “niente di nuovo”.
“Come proteggeremo i consumatori europei?”, ha chiesto provocatoriamente a Londra. E la domanda fondamentale è arrivata subito dopo, “le vostre [britanniche] proposte sono nell’interesse dell’Ue?” Come se la storia fosse tutta lì. Poi ha nuovamente sottolineato quella che per Bruxelles è una delle principali priorità dell’Unione Europea: una soluzione di sostegno per il confine irlandese, che, oggi, costituisce uno dei principali ostacoli al completamento di un accordo formale.
Le reazioni, come c’era da aspettarselo, sono arrivate repentine e piccate. Primo fra tutti è stato Jacob Rees-Mogg, capo dei Brexiteer, ultimamente molto amareggiato con la May: “Abbiamo assistito ad una tipica reazione di bullismo da parte del signor Barnier. Il quale non ha fatto che confermare il punto di vista inglese secondo cui l’Ue non è un’organizzazione benigna e, pertanto, è essenziale andarsene”. D’altronde sono giorni che Ress-Mogg insiste su quella che secondo lui è la direzione cui sta andando incontro la Gran Bretagna: un non accordo che per i brexiteers vuol dire “hard Brexit”. È quello che si aspetta quello che è uno dei leader di spicco dei conservatori, visto l’andazzo delle trattative.
Allo stesso tempo, però, si dice del parere che è bene continuare a negoziare fino alla fine con Bruxelles. “Non penso che abbiamo necessariamente bisogno di un gesto teatrale per andarcene, e la verità è che l’OMC probabilmente sarà tutto ciò che ci offriranno”.
Dal suo canto Theresa May continua a difendere l’accordo concluso ai Checkers, nonostante tutto. Libera circolazione e immigrazione restano, però, i veri punti nevralgici della battaglia finale. Ed infatti, in queste ore, ai ferri corti sono finiti Philip Hammond e Sajid Javid. Il primo, il segretario di Stato per gli Affari Esteri, è dell’idea che i cittadini dell’Ue dovrebbero ricevere un trattamento preferenziale per facilitare l’accordo sulla Brexit, il ministro degli Interni, è di tutt’altro avviso e sostiene la fine della libertà di circolazione.
Hammond crede fermamente che favorire la libertà di circolazione nella Gran Bretagna, dopo la Brexit, aumenterà le possibilità di un accordo commerciale favorevole. Le settimane che precedono la pausa estiva saranno piuttosto calde e segneranno la strada che il Paese prenderà con o senza il favore di Bruxelles. Anche perché la risposta dei burocrati, con Barnier in testa, pare destinata ad essere sempre la stessa, “no”. E il no-deal si avvicina.