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Due suggerimenti per superare il mito della semplificazione normativa

semplificazione

Uno dei principali ostacoli contro cui si scontra il programma dell’attuale governo (del resto come altri governi prima di questo) è quello della complessità amministrativa. In molti si sono cimentati con il problema della semplificazione amministrativa con risultati risibili.

Eppure la semplificazione amministrativa si può fare. L’importante è non farla tramite legge. Bisogna incidere innanzi tutto sui comportamenti. Esempi di successo, seppur rari, non mancano. Abbiamo avuto occasione di vedere su questo sito come, all’amministrazione comunale di Prato, si sia riusciti a ridurre la complessità della procedura di rilascio del permesso di costruire di più della metà. Il risultato è stato ottenuto senza intervenire sulla legge. Anzi: nel mentre l’opera di semplificazione era in corso, le leggi sull’urbanistica sono cambiate più volte, senza che incidessero sull’opera di semplificazione. Questo perché la semplificazione veniva realizzata a livello di modalità di lavoro.

Che cosa si deve fare concretamente? Possiamo dividere i suggerimenti in due gruppi: (i) quelli suscettibili di avere un impatto abbastanza celere e (ii) quelli con un impatto nel medio periodo. Mai si deve, comunque, intervenire per legge.

Interventi di impatto nel breve periodo. Qui si tratta di formare la dirigenza ed il funzionariato dell’ente a progettare il processo prima di mettersi a lavorare sulle singole pratiche in ordine sparso senza aver progettato il percorso delle stesse. Questo significa emanare regolamenti oprativi che dicano cosa deve essere fatto, come deve essere fatto e quando, a differenza dei regolamenti attuali che definiscono chi ha autorità su cosa. Questo salto nel comportamento può essere ottenuto abbastanza rapidamente sfruttando le esperienze matura nei Peco (paesi Europa Centrale e Orientale) dopo la caduta del muro famoso. Si tratta di ingegnerizzare un processo a valanga in cui un piccolo gruppo accompagna alcuni funzionari al cambiamento  concreto e questi, a loro volta, forti della loro esperienza, accompagnano altri colleghi.

Nel corso di questo processo bisognerà fare attenzione a trasmettere il “senso dell’essenziale”. Un esempio di attualità può esplicitare che cosa intendo con il senso dell’essenziale. Nel tentativo di recuperare risorse finanziarie, sembra che si stia studiando un  archipendolo da far venir le vertigini: pagare gli incentivi alla produttività con dei Btp. Quando era ministro della Funzione Pubblica, mi ricordo bene di aver detto all’amico Giuliano Urbani che la produttività non deve costare, ma deve far risparmiare. Se guardiamo alle più performanti amministrazioni del mondo (Germania, Svezia, Svizzera etc.) non esistono sistemi premianti di natura monetaria della produttività (la Francia ci ha provato per fare rapidamente marcia indietro). Anche nel privato gli incentivi monetari si limitano al settore commerciale. Nel privato. Comunque, un meccanismo molto efficace è rappresentato dalla partecipazione all’incremento del Mol (margine operativo lordo). Una percentuale dell’aumento di redditività viene distribuito tra coloro che hanno determinato tale incremento. Nel settore pubblico non si può distribuire una percentuale dell’incremento degli utili, perché il pubblico non fa utili. Ma è possibile distribuire una percentuale dei risparmi realizzati. Orbene, all’art 21 del Dlgs 150/2009 (il così detto decreto Brunetta) tale possibilità è chiaramente prevista. È ora di attuarla, anche perché l’implementazione del Dlgs 91/2011 (contabilità per missioni) dovrebbe facilitarla.

Interventi di impatto nel medio e lungo periodo. Qui si tratta del modo in cui vengono scritte le leggi. Gli interventi da fare sono di due tipi: (i) uno riguarda la sovrapposizione delle leggi, (ii) un secondo il modo di scrivere le leggi. Analizziamo i due punti.

Il modo di sovrapporre le leggi. La vulgata vorrebbe che in Italia si producano più leggi che negli altri paesi avanzati. Se vado a guardare l’ultimo numero di ogni annata della Gazzetta Ufficiale vedo che, raramente, si superano le 600 leggi pro anno. Se faccio lo stesso esercizio in Francia e in Germania siamo sopra le mille leggi. Eppure da noi le leggi che un operatore deve tener sotto controllo sono decine di migliaia mentre in Francia e in Germania sono molto meno. Produciamo meno leggi ma l’operatore ne deve applicare di più. Dove sta il busillis? Nel modo in cui le leggi si sovrappongono. Una legge francese o tedesca o olandese di solito è del tipo “l’art. 5, comma 3 della legge 18 del 2017 è così sostituito…” . In tal modo: (a) il legislatore è costretto ad inserire la nuova norma nel tessuto della normativa esistente e il rischio di fare qualcosa di difficilmente coordinabile è abbattuto drasticamente e (b) chi deve applicare la legge non deve fare sforzi da azzeccagarbugli per arrabattarsi a mettere insieme norme non coordinate e non coordinabili.

Il modo di scrivere le leggi. Anziché scrivere leggi che rispondono al modello chi ha autorità su cosa (norme di tipo finalistico) si devono scrivere norme che si rifacciano al modello ogni volta che… allora (norme condizionali). In questo modo la norma originaria stessa è concepita in modo da concepire un processo rendendo di fatto inutile il regolamento di attuazione.

Anche questi interventi non devono essere fatti attraverso leggi ma con attività formativa. Anche qui ci si può ispirare all’esperienza maturata nei Peco.

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