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Innovatori vs frenatori. La sfida delle europee vista da Cicchitto, Gozi e Minniti

Salvini come Mussolini. “All’epoca il duce faceva la battaglia del grano a torso nudo, quest’estate c’è stato un altro signore, sempre a torso nudo…”. Bagnai e Borghi sono solo due di “quegli apprendisti stregoni e dottor stranamore di cui il governo Conte è pieno”. Di Maio e Salvini “con le loro dichiarazioni sono i primi nemici dell’Italia e della tenuta finanziaria del Paese. “Juncker e Moscovici sono due cretini, i loro sparring partners ideali”. Fabrizio Cicchitto contro tutti. Il presidente di Riformismo e Libertà convoca a Palazzo Wedekind gli stati generali della sinistra riformista per scaldare i motori in vista delle europee e fare anche un po’ di mea culpa. Nel titolo c’è già il primo scoglio: “Nuova Europa contro Vecchia Europa”. Può davvero la sinistra italiana imbracciare il vessillo del “nuovo” in Europa strappandolo ai sovranisti? Non è un’operazione facile. Su questo sono d’accordo tutti i convitati della kermesse romana di Cicchitto: nella sala (non proprio piena) si affacciano i dem Sandro Gozi e Marco Minniti, il socialista Riccardo Nencini e il radicale Marco Taradash, gli economisti Giuliano Cazzola e Giampaolo Galli, e poi ancora outsiders come Ferdinando Adornato, il segretario generale Fim Cisl Marco Bentivogli, fa capolino perfino Renato Brunetta.

Nessuno però è battagliero come Cicchitto. L’ex presidente della Commissione Affari Esteri della Camera invita Giorgia Meloni a “rispolverare dal suo retroterra politico personaggi come Gentile, Federzoni, D’Annunzio, invece che Steve Bannon”. E ne ha anche per Silvio Berlusconi, che recentemente è volato alla volta del Mar Nero per festeggiare il compleanno del suo amico Vladimir Putin. “Non sta capendo nulla, nel 2002 a Pratica di Mare Putin voleva reinserirsi nel grande gioco, poi grazie agli errori di Bush e Obama è tornato e ha trovato in internet lo strumento per agire sulle democrazie occidentali”, chiosa a piazza Colonna l’ex Psi, per poi tornare su Salvini: “Il suo rapporto con Putin è quello che intercorreva fra i comunisti italiani e Stalin”. Quanto al test delle europee nel maggio 2019, Cicchitto non ha dubbi: il “governo del cambiamento” e i suoi alleati non possono rappresentare il nuovo, ne è prova la manovra gialloverde. “Era comprensibile che il governo del cambiamento sforasse le cifre, ma per sfidare l’Europa su investimenti pubblici nelle infrastrutture e sulla riduzione della pressione fiscale per le imprese”, dice. “E invece stiamo sommando l’assistenzialismo organico del Movimento 5 Stelle a quello della Lega, che con la Fornero affonda il sistema pensionistico italiano”.

L’invettiva di Cicchitto è la più accorata e la meno retorica, ma su un punto si accoda agli altri ospiti punzecchiati nella mattinata di lavori dai giornalisti del Corriere della Sera e del Foglio Francesco Verderami e Annalisa Chirico: c’è un quadro chiaro dei problemi, e anche tanta autocritica, ma nessun accenno alle soluzioni. Lo dice senza girarci attorno Ferdinando Adornato, presidente della Fondazione Liberal. Che è preoccupato dell’Italia gialloverde, “l’attacco continuo ai corpi intermedi e alle istituzioni indipendenti prefigura l’inizio di una democrazia illiberale”. Ma al tempo stesso ammette sconsolato: “Mi spiace, ma non so proprio chi votare alle europee. Chi mettiamo insieme, due claudicanti come Forza Italia e il Pd? Così prendono solo più voti i populisti…”. Gli fa eco Sandro Gozi, che ha visto l’Europa da vicino come sottosegretario di Stato agli affari Europei: “Il 4 marzo è crollato un sistema politico, abbiamo dato l’impressione di voltare le spalle alla povertà e al malessere”. Problemi di comunicazione, ma non solo. Sull’immigrazione, aggiunge Gozi strizzando un occhiolino a Minniti in prima fila, bisognava agire prima togliendo alibi alla Lega salviniana: “Avremmo dovuto fare il piano Minniti nel 2014, non nel 2017”.

“Se la risposta degli europeisti è mettere in campo una vecchia foto di famiglia la partita è persa prima di cominciare”, sentenzia l’ex ministro dell’Interno, ribattezzato dal New York Times “The Lord of spies”. L’analisi è lucida, e non risparmia stoccate a qualche vertice Ue che certa sinistra si ostina a difendere a spada tratta: “Il presidente della Commissione Ue va trionfante in tv ad annunciare di aver risolto il problema dell’ora legale in Europa, siamo a posto”. E però ha lo stesso peccato originale di chi lo precede. L’ex uomo forte del Viminale, oggi nome caldo per la candidatura alla segreteria del Pd, spiega che le prossime sono “le elezioni europee più importanti della storia d’Europa” e invita gli innovatori “a non fare la seconda linea dei frenatori”. Di un piano d’azione, però, neanche l’ombra.


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