La successione alla direzione del quotidiano Libero, passata dal 58enne Maurizio Belpietro al 72enne Vittorio Feltri, ha generato diverse diatribe. Ma è stato in particolare Il Fatto Quotidiano ad aver fatto un po’ imbufalire Feltri. Vediamo come e perché. E come ha replicato il fondatore del quotidiano, ora della famiglia Angelucci, proprietaria anche de Il Tempo, per molti anni diretto da Gianni Letta e ora da Gian Marco Chiocci.
LA (PRESUNTA) CENA PREMATRIMONIALE
Il cambio del direttore di Libero del 18 maggio scorso è stato definito dal Fatto Quotidiano come “un’operazione politica” sancita pochi giorni prima “in una cena tra Luca Lotti – sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria – Denis Verdini e Antonio Angelucci” a seguito della quale proprio l’editore Angelucci, sempre secondo la ricostruzione del Fatto, “ha comunicato la decisione a Feltri con un pranzo a Milano”. Nonostante la casacca ancora berlusconiana del deputato ed editore Angelucci, come riporta Il Fatto, “l’editore di Libero ha seguito da vicino tutte le fasi dell’operazione filo-renziana dell’Ala verdiniana” tanto che i due “erano sempre da Ciampini, il bar al centro di Roma”. Con questa operazione Feltri si è così, definitivamente, “convertito al renzismo” e Angelucci, si aggiunge agli altri editori che formano un “fronte unico trasversale del sì”. E Il Fatto, oltre a ipotizzare Angelucci alla presidenza di Ala, ricostruisce altri tasselli sulla conversione verdiniano-renzista di Libero.
DO UT DES?
Antonio Angelucci, secondo un articolo a firma Carlo Tecce uscito il 19 maggio, avrebbe convertito il suo giornale al renzismo per ricevere, attraverso un accordo con Lotti, lo sblocco di alcuni fondi pregressi e una rateizzazione decennale del debito cumulato dal gruppo Angelucci, senza la quale si sarebbe arrivati al fallimento del giornale. “Ma non è finita – si legge ancora sull’articolo di Tecce – perché l’ultima buona notizia riguarda i contributi relativi agli anni 2011 e 2012 – riferendosi ai finanziamenti pubblici sospesi in quel biennio e poi introdotti nuovamente dal governo Renzi – circa 8 milioni di euro che Angelucci rivendica”.
FELTRI RISPONDE
Feltri ha voluto rettificare e puntualizzare con un editoriale uscito il giorno successivo: “Libero per anni ha usufruito dei finanziamenti pubblici in base alle norme”, poi la sospensione e in seguito, “unico giornale della storia”, il quotidiano di Angelucci ha dovuto restituirne una parte delle sovvenzioni sotto garanzia di una fidejussione. Tar e Consiglio di Stato, in seguito, hanno stabilito che “le provvidenze del 2012 spettassero a Libero” e così ora arriva il rimborso grazie all’intervento di Lotti. “Dov’è il baratto?”, conclude Feltri. Il giorno dopo, sabato 21 maggio, Il Fatto risponde.
L’INCASTRO (PERFETTO) DELLE TESI
Il baratto si spiega aggiungendo dei particolari che Feltri avrebbe omesso nel suo editoriale “che non smentisce alcunché”, precisa Il Fatto. Le omissioni sono tre. La prima è che “Feltri ricorda, omettendo la data (settembre 2015) – si legge sul Fatto – che il Dipartimento per l’editoria guidato da Luca Lotti ha spalmato su dieci anni la restituzione dei 15,7 milioni di euro percepiti indebitamente da Angelucci per la proprietà incrociata di Libero e Riformista“. La seconda dimenticanza segnalata dal quotidiano diretto da Travaglio riguarda la sentenza del Consiglio di Stato sui fondi all’editoria che ha sbloccato le sovvenzioni del 2012 e “cassato quelle del 2011 (altra omissione)”. La terza smemoratezza riguarda le annualità 2013-2014 che Feltri dice essere a loro disposizione. Il Fatto obietta: “Ancora un’omissione: chi l’ha stabilito e quando? È accaduto del dicembre 2014, al governo c’era già Matteo Renzi, molto tempo prima della risoluzione del contenzioso e della sentenza del Consiglio di Stato”. Incrocio completato.
(Testo: Sveva Biocca)