“Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vennero colpiti perché, con la loro professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché avevano dimostrato che essa non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto”.
Queste le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso per il trentennale della strage di Capaci e via D’Amelio. “Onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni. Giovanni Falcone – ha ricordato Mattarella – diceva che ‘l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio diceva è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”.
Falcone – ha sottolineato il Capo dello Stato – “agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di forme ostentate di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile”.
“La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria personale dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia. Falcone – ha aggiunto Mattarella – non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza ma si fece guidare senza timore dalla ‘visione’ che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla proterva presenza della mafia. Questa ‘visione’ gli conferiva la determinazione per perseguire con decisione le forme subdole e spietate attraverso le quali si manifesta l’illegalità mafiosa”.
Falcone era “un grande magistrato e un uomo con un forte senso delle istituzioni. Non ebbe mai la tentazione di distinguere le due identità perché aveva ben chiaro che la funzione del magistrato rappresenta una delle maggiori espressioni della nostra democrazia e, in qualunque ruolo, ha sempre inteso contribuire, con competenza e serietà, all’affermazione dello Stato di diritto. La portata della sua eredità è resa evidente anche dalle modalità della celebrazione di oggi, attraverso la quale viene rinnovato l’impegno contro la mafia”.
“Poco meno di tre settimane fa, qui a Palermo, presso l’aula-bunker, ha avuto luogo la sessione conclusiva della Conferenza dei Procuratori europei, dedicata alla commemorazione di Falcone. È stato un omaggio di alto significato – ha sottolineato il Capo dello Stato – perché egli fu il primo ad intuire e a credere nel coordinamento investigativo sia nazionale sia internazionale, quale strumento per far emergere i traffici illeciti che sostenevano economicamente le mafie”.
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