Nelle democrazie contemporanee fino a che punto conta lo stile del leader, il suo modo di prendere le decisioni e di comunicarle? Ne hanno parlato il vice direttore dell’Espresso, Marco Damilano, il politologo della Luiss Giovanni Orsina, insieme con Donatella Campus, autrice del libro Lo stile del leader (Il Mulino, 2016).
Nel corso della presentazione, che si è tenuta venerdì 19 febbraio alla biblioteca Arion di Piazza Montecitorio, Damilano, Orsina e Campus hanno parlato di differenze e somiglianze degli otto importanti leader del ‘900 scelti dall’autrice: Bill Clinton – il ragazzo di Little Rock – , Silvio Berlusconi – leader del popolo ma anche superiore al popolo – , Ronald Reagan – l’attore arrivato alla Casa Bianca – , Angela Merkel – nata e cresciuta in un altro Stato – , Charles de Gaulle – leader che si credeva migliore degli altri, ma che lo era per davvero – Margaret Thatcher – figlia di un droghiere -, Tony Blair e Romano Prodi.
E nel domandarsi se il leader nasce perché esiste un fallimento della democrazia, e se quindi la leadership sia un succedaneo della crisi delle istituzioni, il professor Orsina ha concluso dicendo: “I leader non sono più gradi uomini tipo De Gaulle, che si credeva migliore degli altri ed era migliore degli altri. Il modello del leader vero è fallito perché i leader non hanno più verità da dare. Perché il popolo dovrebbe seguire uno che tradisce la moglie o il marito, o che prende le mazzette? Il leader di oggi è condannato a doversi mostrarsi come tutti gli altri: si mimetizza nel breve periodo, ma nel medio-lungo periodo questa strategia è perdente. E perderà”.
(Foto: Sveva Biocca)