Sono stati il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Mattia Fantinati e il viceministro allo Sviluppo economico Dario Galli a concludere, ieri, l’evento organizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) dal titolo “#TavoloItalia18. Le relazioni tra imprese e territori per lo sviluppo economico e la rinnovata fiducia dei cittadini“. Nell’occasione è stato presentato il rapporto dell’istituto sull’economia delle regioni in Italia con dati e approfondimenti inediti. Fantinati e Galli sono stati intervistati dal giornalista del Tg1 Mario De Pizzo. Tra gli altri hanno anche partecipato all’iniziativa il presidente di Unindustria Filippo Tortoriello, l’assessore al Lavoro della Regione Lazio Claudio Di Berardino e quella a Roma Semplice del Campidoglio Flavia Marzano. E ancora i deputati Francesco Berti (M5s) e Paolo Tiramani (Lega). In rappresentanza del mondo delle aziende erano presenti Francesco Nonno (Open Fiber), Maurizio Sberna (Basf), Benedetta Sebastiani (Terna) e Alessandro Verrazzani (Eolo). Tra i moderatori, oltre a De Pizzo, anche il direttore dell’Agenzia Dire Nico Perrone, Federico Marietti del Tg5 e Gianluca Zapponini di Formiche.net che da anni è ormai partner di questa iniziativa.
Dal rapporto I-Com – curato dal presidente dell’istituto Stefano da Empoli e da Gianluca Sgueo – emerge come in soli quattro anni, dal 2014 al 2018, il numero delle start-up esistenti in Italia sia aumentato di oltre 6 volte. Nello specifico, si è passati dalle 1.541 piccole imprese innovative del 2014 alle 9.646 di novembre 2018. Una crescita trainata soprattutto dal Nord Italia dove è attivo il 55% delle start-up del Paese mentre il 24% si concentra al Sud e il 21% al Centro. La regione più virtuosa in questo senso sia la Lombardia con 2.398 start-up, seguita dal Lazio con 1.047, dall’Emilia-Romagna con 901 e dal Veneto con 874. Prima regione del Sud la Campania, quinta in Italia con 743 piccole imprese innovative.
Il Meridione, nonostante non spicchi in classifica per numero di imprese presenti sul territorio, si distingue per un aspetto aspetti rilevanti: la presenza giovanile nell’ambito della compagine societaria. Dal primo punto di vista il 20% delle start-up esistenti in Italia è caratterizzato da una prevalenza giovanile all’interno dell’assetto societario. “La presenza e la futura evoluzione delle start-up al Sud è una risposta alla crisi economica e occupazionale che colpisce soprattutto i più giovani”, ha dichiarato il presidente di I-Com da Empoli che ha curato la ricerca. “Oggi è necessario concentrarsi su due questioni fondamentali – ha proseguito l’economista sottolineando le principali criticità da superare – In primo luogo, sulle competenze, con la necessità di dotarsi dei profili giusti al posto giusto. Inoltre, il mercato dei capitali destinati alle piccole imprese innovative è ancora troppo asfittico e poco liquido: lo Stato deve favorire la creazione di un ecosistema virtuoso e aperto che renda più semplice l’accesso ai finanziamenti e spinga gli investitori privati a scommettere sull’innovazione”. Anche per far sì che le tante start-up fondate in Italia riescano ad avere una maggiore resistenza nel tempo: il rapporto evidenzia sotto questo profilo come a tre anni dalla nascita solo il 57,68% continui a rimanere in funzione mentre a quattro anni questo dato scende addirittura al 36,41%. La Regione con il tasso di sopravvivenza più elevato è la Calabria, seguita da Abruzzo, Sicilia e Campania: tutte regioni dell’Italia centro-meridionale dove le start-up hanno dunque una maggiore capacità di resistenza.
Lo studio si concentra anche sulla spesa in ricerca e sviluppo che, in base ai dati analizzati, in Italia vale l’1,4% del prodotto interno lordo. Le più virtuose sono le regioni del Nord. Seguono quelle del Centro e poi del Sud. Nello specifico, cinque regioni superano la media nazionale con valori della spesa in R&S che vanno dall’1,6% al 2,2% del Pil: nello specifico, si tratta di Piemonte (2,2%), Emilia Romagna (2,0%), Lazio (1,7%), Friuli-Venezia Giulia (1,6%) e Liguria (1,5%).
Infine, il rapporto affronta anche il tema del fisco locale. Roma e Torino sono le città con le imposte locali più alte d’Italia. Nello specifico nella Capitale l’aliquota complessiva – frutto delle addizionali all’Irpef applicate dalla Regione Lazio e dal Campidoglio – è pari al 4,23%, mentre Torino raggiunge il 4,13%. La maglia nera della di Roma deriva dal fatto che sia il Campidoglio che la Regione Lazio abbiano scelto di applicare aliquote ben al di sopra di quelle delle altre città italiane. In totale il 4,23%, con un’addizionale regionale all’Irpef del 3,33% e quella comunale che raggiunge il record dello 0,9%. Segue Torino, che si posiziona al secondo posto. Anche in questo caso l’addizionale regionale si attesta al 3,33%, alla quale va aggiunta un’aliquota comunale dello 0,8%. In terza posizione ci sono a pari merito Potenza, Campobasso, Genova e Bologna. Una performance nella media ha fatto registrare Milano con una pressione fiscale complessiva del 2,54%. Agli ultimi posti della classifica, e dunque le più virtuose, sono le città di Aosta, Cagliari e Firenze con percentuali che oscillano tra l’1,53% e l’1,93%. Dallo studio emerge inoltre una tendenza negativa per i tempi di pagamento dei creditori che interessa alcune città italiane. In testa alla classifica ancora una volta Torino che registra il record negativo impiegando in media 72 giorni per saldare i fornitori. Ottimi, invece, i risultati di Venezia (con una media di 12 giorni), di Firenze (19 giorni), Bologna (20) e Milano (21). Il Comune di Roma salda in media i fornitori in 31 giorni.
Nella gallery le foto dei protagonisti dell’iniziativa.
(Foto di Filippo Corsini/Riproduzione riservata)