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Com’era Napoli ai tempi del colera nel 1973. Le foto dall’archivio Pizzi

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Era il 1973 quando un’epidemia di colera colpì l’Italia. A differenza di quanto sta succedendo ora con il coronavirus, negli anni ’70 l’epicentro era al sud, nella città di Napoli. Tutto cominciò un giorno d’estate, il 24 agosto. A Torre del Greco (dove Giacomo Leopardi è morto proprio di colera nel 1837) si registrarono due casi di “gastroenterite acuta”. In seguito all’Ospedale di Cotugno si presentarono altri pazienti, proprio nei giorni successivi. Tutti con gli stessi sintomi: diarrea, vomito, crampi. La malattia, dunque, era contagiosa, ma a diffondersi ancora più velocemente fu la paura.

L’Italia era molto diversa da oggi. L’epidemia provocò la morte di 12 persone (o al massimo 24, secondo altre fonti) e i pazienti ricoverati furono circa 1000. L’epidemia si diffuse anche in Puglia, in Sardegna, a Roma, Milano, Firenze, Bologna e a Pescara. Complessivamente ci furono 277 contagiati e 24 morti. La città più colpita fu Napoli, con 15 morti su 119 casi e Bari con 6 morti su 110 casi accertati. In confronto al coronavirus, i numeri non erano allarmanti, ma quell’emergenza portò Napoli indietro nel tempo.

L’Ansa racconta che i napoletani vissero giorni drammatici, con file chilometriche per le vaccinazioni somministrate dai militari americani. Il Paese era tornato di colpo al 1943, quando i soldati a stelle e strisce spruzzavano il Ddt per scongiurare l’estendersi della epidemia di tifo.

All’epoca la percezione di quando stava succedendo giocò un ruolo fondamentale. “Una differenza notevole rispetto all’epidemia attuale, in qualche modo preannunciata, fu il modo con cui allora si manifestò agli inizi – si legge sulla Treccani -, che destò ovviamente timore, ma anche incredulità e sorpresa; nonostante da alcuni anni il colera si fosse presentato in diverse aree del mondo, era convinzione diffusa che sarebbe stato confinato al di fuori dei Paesi industrializzati e che quindi non avrebbe potuto manifestarsi in Italia”.

Ad affrontare quella epidemia nella città di Napoli fu il professor Giulio Tarro, fu proprio lui a isolare il vibrione del colera quando scoppiò l’epidemia. Tarro, ora virologo di fama mondiale, candidato al Nobel per la Medicina nel 2015, è stato allievo del padre del vaccino contro la poliomelite, Albert Sabin.

Quando dopo i primi decessi la parola colera si diffuse, la preoccupazione aumentò. Si pensava che il colera fosse una malattia propria dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, privi di un moderno ed efficiente sistema sanitario. Ma invece no, era presente anche in Italia. Successivamente, le autorità confermarono che le condizioni igieniche e sanitarie di Napoli erano molto precarie.

All’inizio si pensava che l’epidemia fosse partita dai frutti di mare, così furono sequestrate le cozze e vietato il consumo di pesce. I limoni, che potevano contrastare gli effetti del colera, avevano raggiunto prezzi esorbitanti. All’epoca, la risposta collettiva, in termini di solidarietà, fu importante nel superamento dell’emergenza.

Umberto Pizzi fu contattato in quegli anni da un giornale americano per documentare con le sue foto quello che accadeva a Napoli. Ecco le sue foto d’archivio, in esclusiva per Formiche.net.

Foto: Umberto Pizzi – riproduzione riservata

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