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Punto di partenza della sfida tra i due aspiranti premier è l’eterno tema della riforma elettorale, al centro di un complesso gioco di incontri e negoziati a geometrie variabili. Strategie che vedono il Partito democratico perno di un confronto in due direzioni con sbocchi alternativi: l’interlocuzione privilegiata con il Nuovo Centro-destra e i centristi Popolari per un meccanismo proporzionale a due turni con preferenze e premio di governabilità disegnato sul “modello dei sindaci delle grandi città”, o il dialogo aperto con Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, ma anche Sinistra e Libertà e Lega Nord, a favore di un Mattarellum corretto.

LA VISIONE DI RENZI

Un terreno su cui Matteo Renzi preferisce mantenere una vaghezza di tesi e contenuti. Ricorda la necessità di coinvolgere la più ampia adesione delle forze parlamentari e non rinchiudersi nel perimetro della maggioranza governativa per lavorare al nuovo meccanismo di voto. Apprezzando la scelta della Commissione Affari costituzionali della Camera di completare la riforma entro il 31 gennaio in modo da giungere al voto dell’Aula nella prima settimana di febbraio, rifiuta ogni automatismo con la scadenza anticipata della legislatura. Perché prima di tornare alle urne, spiega il primo cittadino di Firenze, è possibile concordare con la formazione guidata dal vice-premier un patto di lungo termine che può arrivare al 2018. “E perché sono opportune innovazioni istituzionali su cui l’esecutivo ha assunto precise responsabilità, dal superamento del bicameralismo con l’eliminazione della natura elettiva e del potere fiduciario del Senato alla nuova formulazione del Titolo V della Carta repubblicana”.

Verificata la condivisione sugli obiettivi delle nuove regole elettive – vincitore limpido, garanzia dell’efficacia e durata dell’azione di governo, responsabilità verso i cittadini – l’ex fautore della rottamazione conferma l’apertura alla più ampia varietà dei metodi di scrutinio: la legge vigente per i comuni con meno di 15mila abitanti – maggioritario con liste unitarie a supporto di ogni candidato sindaco e premio di governabilità dei due terzi dei seggi per il vincitore – il modello previsto per le città oltre i 15mila abitanti, il Mattarellum corretto con l’assegnazione di una parte della quota proporzionale al bonus di maggioranza. Ricette che, ribadisce Renzi, rappresentano “aspetti noiosi e secondari rispetto alle priorità da perseguire”.

LA RISPOSTA DI ALFANO

Molto più preciso nei contenuti Angelino Alfano, che aspira a una legge elettorale concepita sul “modello dei sindaci” con un premio di governabilità per chi ottiene più voti. Comprendendo il valore della posta in gioco, il responsabile dell’interno non cela le preoccupazioni per la creazione di un asse privilegiato PD-Forza Italia-M5S su un meccanismo maggioritario di collegio che rischia di travolgere il Nuovo Centro-destra nella competizione elettorale. E per questo motivo chiede al numero uno del Nazareno “lealtà di rapporti” nell’elaborazione della riforma: “Credo nella buona fede di Matteo e che il Pd di Renzi non approverà una legge foriera di crisi per il governo”.

Anche sul terreno della revisione istituzionale emergono divaricazioni di rilievo. Al contrario di Renzi, il vice-premier vuole conservare la legittimazione popolare del Senato, privilegiando il dimezzamento del numero dei parlamentari. E sul destino della legislatura appare più scettico: “Basta attuare un programma di riforme specifiche in 12 mesi, dagli interventi sul mercato del lavoro fino al taglio della spesa improduttiva a partire dall’accorpamento e fusione delle multiutiliy locali divenute fonte di sperperi, clientele e servizi inefficienti. Poi, una volta realizzato un assetto bipolare nel 2015, è bene tornare alle urne”.

LAVORO E SINDACATI

Rilevando che “il piano Pd per il lavoro verrà presentato a gennaio”, Renzi respinge ogni “derby ideologico relativo all’articolo 18, che non viene ritenuto prioritario né dai lavoratori né dagli imprenditori”. Per lui è fondamentale modernizzare i centri per l’impiego guardando alle esperienze scandinave, semplificare le regole sul lavoro, riformare gli ammortizzatori sociali con un sussidio universale al posto della cassa integrazione legato a percorsi di formazione e aggiornamento finalizzati al reinserimento occupazionale.

A giudizio di Alfano la via primaria per valorizzare chi crea e dà lavoro è smantellare la riforma Fornero, “partita bene ma ipotecata dal condizionamento ideologico sindacale”. Ragion per cui il leader del Nuovo Centro-destra spera che “la sinistra riformatrice del Pd si emancipi dal retaggio culturale della CGIL per puntare al più vasto decentramento territoriale e aziendale nella contrattazione lavorativa”. E che vengano abrogate misure quali il rinnovo automatico dell’iscrizione al sindacato e i contributi statali stanziati per i distacchi sindacali dei lavoratori del pubblico impiego.

Parole a cui Renzi replica osservando che il Partito democratico “non è la Camera del lavoro dell’Italia né una cinghia di trasmissione del sindacato”. E rivendicando, in piena consonanza con il segretario della FIOM Maurizio Landini, il valore di “una legge moderna sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e di un sindacato sul modello tedesco in cui i rappresentanti delle confederazioni siedono nel board delle grandi aziende e sono corresponsabili delle loro scelte strategiche”. Poi passa al contrattacco: “Ma chi ha votato la riforma Fornero? Chi ha perduto l’occasione storica della rivoluzione liberale tradendo e deludendo gli elettori del centro-destra?”

FAMIGLIA E UNIONI CIVILI

Altro terreno caldo di sfida riguarda le unioni civili. Ribadendo la propensione per la civil partnership e per il riconoscimento giuridico delle relazioni stabili differenti dal matrimonio, Renzi auspica che il leader del Nuovo Centro-destra non si appiattisca sulle tesi espresse da Carlo Giovanardi. E ad Alfano che rivendica i valori tradizionali del legame fra uomo e donna, pur aprendo alle modifiche del Codice civile per la tutela dei diritti individuali delle forme alternative di affettività, ricorda “con indignazione la realtà di un un paese che mortifica i nuclei domestici nelle politiche fiscali e riserva appena 20 milioni al Fondo per la famiglia”.

Renzi e Alfano al Bruno Vespa Show. Si parla (forse) di cose serie

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