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Chuck Hagel (nella foto) cerca di rassicurare gli alleati delle petro-monarchie del Golfo. La firma dell’accordo temporaneo su nucleare raggiunto a Ginevra con Teheran non significa che l’Iran non sia più considerato una minaccia per la sicurezza, ha spiegato il segretario alla Difesa statunitense.

MAGGIORE COLLABORAZIONE
Il numero uno del Pentagono ha inoltre proposto maggiore collaborazione tra i Paesi della regione e avanzato l’ipotesi di fornire sistemi d’arma agli alleati. Gli Usa metteranno “ancora maggiore enfasi nel costruire le capacità dei nostri partner così da fare da sostegno alla presenza militare nella regione”, ha spiegato Hagel in un intervento alla Manama Dialogue, conferenza sulla sicurezza tenuta in Bahrein.

RAFFORZAMENTO COLLETTIVO
Il rafforzamento non dovrebbe tuttavia avvenire per singoli Stati, ma collettivamente, attraverso il Consiglio di Cooperazione del Golfo, organizzazione sovranazionale guidata dll’Arabia Saudita. Questo darebbe ai Paesi il modo di “ottenere capacità militari critiche, compresi sistemi balistici di difesa, per la sicurezza marittima e per l’anti-terrorismo”.
Il Pentagono risponde in questo modo al timore degli alleati che il rinnovato interesse Usa per l’Asia orientale attraversata dalle tensioni per le dispute territoriali tra la Cina e i Paesi limitrofi alleati di Washington si traduca in un minor impegno mediorientale.

IL TIMORE DI UNA CONTROPARTITA
Come ricorda il Financial Times, considerato l’aumento della produzione statunitense di petrolio, tra i regnanti del Golfo serpeggia il timore che la contropartita per i progressi nell’accordo sul nucleare sia un allontanamento dai ricchi Paesi produttori della regione.
“Come voi anche io non mi faccio illusioni sulle minacce quotidiane che la regione deve affrontare. È una nostra preoccupazione che so esserci anche qui nel Golfo”, ha continuato Hagel.

IL DISPIEGAMENTO USA
Gli Usa schierano 35mila militari nell’area, oltre 40 navi pattugliano i mari, proprio in Bahrein è di base la Quinta Flotta della Marina. Nella regione, scrive l’agenzia Reuters, il Pentagono ha in programma progetti di espansione per 580 milioni di dollari. Ciò tuttavia non toglie l’irritazione degli alleati, Arabia Saudita in testa, per l’accordo iraniano e per il mancato intervento militare in Siria, che ha spinto Riad a un plateale strappo.

LA STRATEGIA DEL PENTAGONO
Una maggiore collaborazione politica e militare del Consiglio di Cooperazione del Golfo è in agenda sin dallo scoppio delle sollevazioni nel 2011 nel mondo arabo e islamico, in particolare per le rivolte nel Bahrein in cui un governo e una minoranza sunnita comandano economicamente e politicamente sulla maggioranza sciita della popolazione. Gli interessi particolari dei sei Stati membri – Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman – mettono tuttavia ostacoli a una maggiore integrazione. Il ministro degli Esteri dell’Oman ha ad esempio sollevato obiezioni. Il sultanato, ricorda il quotidiano della city, funge da canale di contatto tra Washington e Teheran. Le perplessità su una maggiore unione all’interno del Consiglio sono legate al timore che questo diventi un gruppo a guida saudita.

Così il Pentagono cerca di rassicurare le petro-monarchie del Golfo

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