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La situazione politica in seno al Pdl è incandescente almeno da dopo l’estate, quando, come ben si sa, si è creato uno spartiacque tra la posizione dei cosiddetti “lealisti” e quella dei “filo governativi”. In vista del Consiglio Nazionale di sabato prossimo, nel quale non è ancora chiara la presenza di chi e come ci sarà, la polemica si è ovviamente accentuata.

Il caos che ne emerge è fastidioso ma comprensibile. Un po’ per la portata simbolica dell’appuntamento, che in passato sancì la fine definitiva dell’alleanza Fini e Berlusconi, e un po’ per la posta in gioco altissima, è normale che le posizioni si varino sempre più. Ognuno dei protagonisti propone una sfumatura diversa che segnala la sistemazione maggiormente vicina al Cav. o a Enrico Letta.

LA TESI DI CICCHITTO

La tesi più chiara dei governativi è quella espressa da Fabrizio Cicchitto. L’ex capo gruppo del Pdl ha spiegato, infatti, che la riunione di sabato non ha un ordine del giorno preciso e, comunque, la posizione estrema assunta da Berlusconi verso il governo non approda da nessuna parte. “Ci dispiace moltissimo – ha precisato – ma non condividiamo la posizione assunta dal presidente Berlusconi che ha fatto sua la posizione degli estremisti e che vuole far cadere, a tutti i costi, il governo. La caduta del governo provocata dal Pdl per puntare a elezioni immediate sarebbe, infatti, solo un favore fatto al Pd. Il Pdl non avrebbe nemmeno un candidato premier perché Berlusconi non si può presentare e Alfano è contestato dai falchi”.

Un ragionamento impeccabile. Conviene però, da punto di vista politico, riflettere anche su altri fattori di peso, addirittura più incisivi di quelli che spinsero Fini a fallire col tragico distacco. In primo luogo, il fatto che la presenza del centrodestra al governo non è sentita per nulla come rilevante dagli elettori. E, in secondo luogo, che non c’è realmente nessun contenuto politicamente rilevante, e con questa espressione intendo per la parte moderata del Paese, per aprire una spaccatura interna al grande blocco moderato, in ogni caso ruotante attorno alla figura del Cav. Spaccare il centrodestra, in definitiva, è meno popolare che far saltare il banco di Palazzo Chigi.

IL PESO DEI MODERATI

In tal senso, la linea tenuta dall’esecutivo, anche valutata con la lente della Legge di Stabilità, non mostra una presa di posizione convincente dal lato della defiscalizzazione, della politica della famiglia, della rottura della pressione europea. E’ una linea di continuità, visibile nelle scarse differenze che appaiono tra lo stile di Saccomanni, quello di Padoa Schioppa e quello di Visco. Viene di chiedersi, insomma, da dove nasca questa esplosione di fedeltà istituzionale che sembra aver conquistato Alfano e gli altri. Voglio dire che è vero che anche tatticamente, come Cicchitto ricordava, non ci sono vantaggi immediati a chiudere l’esperienza Letta. Personalmente, ciascuno di noi cittadini lo sa. Ma il peso che l’ala moderata sta avendo con la propria influenza nella linea dell’esecutivo, dopo la diaspora interna, è pressoché nulla.

Sarebbe stato molto meglio tenere unita la compagine dei parlamentari e senatori, pungolando, magari dall’esterno, la maggioranza e spingendola a fare alcune riforme veramente importanti a favore della libertà delle imprese, del taglio della fiscalità sul lavoro, del taglio alle spese, così via, piuttosto che vivacchiare. Fare politica di lotta e di opposizione, magari con un piede dentro il meccanismo di governo, sarebbe stato meglio, com’era all’inizio, che appiattirsi a essere il rimorchio del centrosinistra. Il centrodestra ha vinto sempre, stando all’opposizione e mai governando. Se spegne la sua carica di rottura, è destinato a perdere ineluttabilmente.

LA STELLA RENZIANA

Guardando le cose dall’esterno, quello che si vede oggi è l’emergere faticoso tra le nubi del centrosinistra della stella renziana, senza che, e ciò è verissimo, vi sia dall’altra parte una minima operazione simile, con o senza Forza Italia. Certo, se Alfano fosse un leader carismatico indiscusso, se la gente sentisse che il Governo da un segno chiaro e netto di venire incontro alle esigenze primarie ormai della gente, il discorso sarebbe molto, molto diverso. Se, se, se…

IL VANTAGGIO DEL CENTRODESTRA

L’unico vantaggio che il centrodestra continua ad avere concretamente, invece, nonostante tutto, perlomeno fino a sabato, è la sua unità e compattezza politica. E’ logico che nel Pd sia più difficile essere coeso, essendo un partito vero, strutturato e partecipato, sia pure con infinite contraddizioni, dai suoi iscritti. In questa fase, e su questo mi sento di dissentire con Cicchitto, non è importante essere lealisti o falchi ma sapere da che parte si sta e volere non perdere, al netto dell’assenza di un successore riconosciuto e di un Berlusconi impedito a rappresentare pienamente la compagine moderata, l’unico vero punto di forza che è appunto l’identità popolare e l’appartenenza omogenea dei ceti elettorali, imprenditori, partite IVA, eccetera.

Da parte mia posso dire che anche il fallimento dell’ipotesi montiana si è consumata nel momento in cui quella proposta di rinnovamento è diventata ostile a Berlusconi e non in grado di traghettare verso un’alternativa di altro tipo l’area di centrodestra.

FINE DELL’UNITA’ DEL PDL

Con la fine dell’unità del Pdl e una Lega ormai spenta, certamente non vi sarà più alcuna possibilità di presentare in modo vincente un soggetto elettoralmente competitivo davanti al centrosinistra. Anche se il guadagno elettorale ci sarà per il nuovo Pdl, sarà in ogni caso vincolato a una continuità lealista con il centrosinistra. L’erosione, piccola o grande, che la nuova Forza Italia incarnerà, comunque, sarà sufficiente a rendere impossibile qualsiasi vittoria politica del fronte moderato. Impedendo dunque, per logica conseguenza, ogni possibile ipotesi netta di tipo liberale, riformatrice e modernizzatrice del Paese.

Perché Cicchitto sbaglia

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