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Le previsioni ufficiali macroeconomiche e sulle finanze pubbliche assomigliano sempre più a una cabala. Poco affidabili per i mercati; rilevanti solo – ma non si sa per quanto – per la politica italiana, instabile per definizione e, di conseguenza, sempre alla ricerca di appigli di qualsiasi natura.

Ora, il 3,1 nel rapporto deficit Pil contenuto nella nota di aggiornamento del Def sembra una buona notizia per l’Italia. Non sforiamo di troppo gli obiettivi europei e in confronto ad altri partner come la Francia e la Spagna, sembriamo ancora dei prussiani ultrarigoristi. Ma è anche un numero perfetto per Enrico Letta, per ragioni che sono tutte politiche.

Lo zero virgola uno per cento in più significa che non servirà una manovra, ma solo aggiustamenti di routine (leggi tagli lineari ai ministeri). Ma è a “legislazione vigente”. Quindi tutto quello che verrà in più dovrà essere coperto in modo inoppugnabile. La copertura andrà negoziata nella maggioranza e questo dovrebbe bastare a frenare il Pdl che ha lanciato un nuovo aut aut sul fisco, in particolare sull’aumento dell’Iva o su altre ipotesi che prendono piede, come l’aumento delle accise sui carburanti. Il centrodestra dovrà scendere a patti e così Letta potrà accontentare anche il Pd, che teme un altro cappotto del centrodestra in termini di risultati portati a casa.

L’ultima parola resterà sempre a Palazzo Chigi. Basterà un segnale del premier e Bruxelles potrà tirare il guinzaglio e dettarci la Legge di stabilità. Se fossimo restati sotto il tre per cento sarebbe stato tutto diverso. Gli italiani sarebbero stati più tranquilli, ma senza minaccia Ue, si sarebbe aperta la caccia al governo, da destra e da sinistra. Uno scenario che non piace al premier Letta. E forse nemmeno all’Europa.

Quel 3,1% di deficit, il parafulmine perfetto per Letta

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