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Rimosso dalla scena istituzionale e fortemente penalizzato nella possibilità di guidare il centro-destra. Ma non per questo espulso dalla vita pubblica. Così Silvio Berlusconi appare agli occhi del presidente dell’Istituto “Antonio Gramsci” Giuseppe Vacca, storico del pensiero politico e acuto studioso del marxismo italiano. L’ex parlamentare del Partito comunista dal 1983 al 1992 analizza con Formiche.net le ripercussioni sul panorama politico nazionale e sul destino del governo Letta del verdetto di condanna della Corte di Cassazione nei confronti del Cavaliere.

La sentenza della Suprema Corte travolgerà insieme al suo leader storico l’intero Popolo della libertà?

La decisione sancisce di fatto l’uscita di Berlusconi dalla scena politica. Ciò non vuol dire che egli smetterà di far politica, esprimere le sue idee e aggregare forze in grado di rappresentarle. Una figura che controlla metà del sistema televisivo italiano e riesce tuttora a interpretare una vasta parte dell’opinione pubblica non esce di scena. Tuttavia ora il centro-destra dovrà ricercare un futuro oltre e dopo il Cavaliere. Il problema era cominciato da almeno due anni, quando nel 2011 il Pd aveva manifestato la sua disponibilità a un governo di unità senza Berlusconi per affrontare la crisi economica e del debito sovrano. E il tramonto della sua egemonia politica era iniziato un anno prima, con la rottura dell’equilibrio della sua alleanza a favore del Carroccio, la paralisi del suo esecutivo e la divaricazione crescente con Giulio Tremonti che alla fine venne azzoppato. La ricandidatura alla testa del Pdl nel voto di febbraio ha costituito una soluzione di ripiego e ha fermato la riorganizzazione del centro-destra. Lo stesso discorso del Cavaliere di ieri sera, che rilancia la piattaforma politica di Forza Italia, appare arroccato, difensivo, povero, prigioniero di una guerra senza quartiere con la magistratura. Con la differenza che l’offensiva ingaggiata in questi anni con i giudici era compiuta da posizioni di governo ed egemonia.

La decisione dei giudici di Piazza Cavour rischia di colpire anche il Partito Democratico?

Tutto ciò che sta accadendo è salute per il Pd, poiché può consentirgli un confronto interno, la verifica dell’operato, l’emergere di un ceto dirigente meno ipotecato dalle stigmate del passato. A riprova che esso è la principale risorsa della ricostruzione dell’assetto politico italiano. Nell’ultima Direzione è parso evidente che il suo congresso sarà costituente, parametrato alle responsabilità nazionali di principale attore di un governo di larga coalizione privo di alternative. Per crescere come forza di governo però deve liberarsi del populismo di sinistra che ha connotato il tragitto di una parte delle sue componenti negli ultimi 15 anni, e ridimensionare le narrazioni che ne hanno fatto un partito personale – parlo della segreteria di Walter Veltroni che per questo è durata pochi mesi – privilegiando chi matura un pensiero sul paese rispetto a leadership imbevute di radicalismo e spinte dall’ansia di primeggiare: Matteo Renzi, ma anche Laura Puppato e Pippo Civati, figure fungibili le une rispetto alle altre. E per ricostruire l’identità di una forza che si propone sempre più come partito della nazione è necessario distinguere nettamente la funzione del segretario da quella di candidato premier.

Il governo guidato da Enrico Letta potrebbe subire seri contraccolpi a causa della sentenza?

Non vedo tale rischio. L’esecutivo in carica è il migliore che il nostro Paese potesse avere, poiché impone un grado di disciplina fino a oggi assente nelle formazioni politiche principali. Un governo in cui la posizione del centro-destra è tutt’altro che egemonica e il pallino è nelle mani del Pd. Per il Pdl esso rappresenta la prova decisiva del grado di maturità necessario per esercitare un ruolo nel futuro. Peraltro l’esecutivo di larghe intese non può cadere prima della presidenza italiana del Consiglio Europeo del 2015. Ma per consentirgli di vivere e operare, così come per porre le fondamenta di una autentica democrazia dell’alternanza, è necessario il reciproco riconoscimento della legittimazione a governare da parte degli schieramenti in campo.

Il Quirinale potrebbe compiere un gesto di clemenza per offrire al Cavaliere un salvacondotto politico?

La soluzione politica risiede soltanto nel gioco politico. Autorevoli e diversi protagonisti della vita pubblica italiana in condizioni più difficili hanno affrontato vicende giudiziarie tremende. Il Presidente della Repubblica deve garantire lo Stato di diritto e il regolare flusso dell’equilibrio dei poteri. Il precedente invocato in questa circostanza relativo alla condanna del direttore del Giornale Alessandro Sallusti toccava un reato di opinione, e Giorgio Napolitano ha voluto tutelare l’articolo 21 della Costituzione. Ben diversa la situazione dell’ex capo del governo. A meno che, in nome del consenso popolare accumulato negli ultimi vent’anni, non vogliamo decretare la morte della democrazia liberale, della separazione e bilanciamento dei poteri, costituzionalismo fondato sul governo delle leggi e non degli uomini.

E’ possibile parlare di uno “scambio di prigionieri” tra la testa politica del Cavaliere rimosso per via giudiziaria e la garanzia di una giustizia normale da parte dei magistrati militanti?

Lo ritengo un modo fasullo e non veritiero di dipingere il funzionamento della giustizia e della sua crisi. La militanza di una parte della magistratura deriva dalla crisi di legittimazione della politica verso cui si fa largo una tendenza surrogatoria, da carenze legislative e lacune culturali. Ma non riguardano Berlusconi e Mani Pulite, bensì pretori e pm d’assalto che senza aver terminato il proprio lavoro mettono in piedi un partito e si candidano a sindaco, o parti di correnti delle toghe che ideologizzano il loro ruolo.

Il verdetto Mediaset? Tutta salute per il Pd. La versione di Vacca

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