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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi sul quotidiano Italia Oggi

Il mondo musulmano è in ebollizione. È come un terremoto senza fine. Le faglie sciita e sunnita si scontrano in un movimento ininterrotto, con conseguenze devastanti. Venerdì scorso, per esempio, in un solo attentato in Iraq (che nessuno, in Occidente, ha notato) sono morte quattro volte più persone di quante non ne siano perite nell’attentato di piazza Fontana a Milano che, a 44 anni di distanza, lacera ancora, e giustamente, la coscienza degli italiani.

Massacro di civili egiziani

In questo contesto si colloca il massacro di civili egiziani da parte dell’esercito del generale al-Sisi, avvenuto lo scorso weekend. Uno scontro inevitabile dopo la destituzione del presidente Morsi, il leader travicello, issato al potere dai Fratelli musulmani, che, tradendo le attese modernizzanti dei rivoltosi laici della primavera araba del Cairo, stava stroncando l’opposizione (come ai tempi di Mubarak) e appoggiava una politica di sterminio nei confronti dei copti (il 16% della popolazione egiziana) con l’obiettivo di costringerli, quanto meno, all’esilio.

La piazza contro Mubarak

In Egitto, quando si trattò di minare il potere di Mubarak, si trovarono assieme, in piazza, la gioventù occidentalizzata, che chiedeva più libertà (era quella che piaceva ai tg occidentali perché parla inglese e ha facce come le nostre) ma anche, sia pure più defilati (ma molto meglio organizzati ), i Fratelli musulmani. Si nascondevano per assicurarsi più facilmente il bottino di quelle lotte. E così è stato. Quando, con le elezioni, si sono contati i voti dei contestatori laici di Mubarak con quelli organizzati dei Fratelli musulmani, si è scoperto che questi ultimi erano più numerosi e quindi, in base alla democrazia, spettava a loro il comando. Che si è subito rivelato un progetto dittatoriale ancora più pervasivo di quello militare precedente. Da qui la rivolta. Che oggi è una guerra civile fra due Egitti antitetici.

L’ingenuità degli osservatori internazionali

E questo è il risultato del desiderio, commendevole ma anche pericolosamente naïf, di coloro che, in Occidente, confondendo ingenuamente le piazze del Cairo con i boulevard parigini del ’68, hanno sùbito tifato al superamento della dittatura militare egiziana. Sui boulevard parigini c’era una gioventù che si batteva contro costumi invecchiati ma che operava in una società che aveva conquistato la democrazia due secoli e mezzo prima. Una società quindi che poteva essere scossa senza essere distrutta. La democrazia infatti è un processo. Non può mai essere un regalo. Scuotendo l’albero esistente, si può sradicarlo. La democrazia va incentivata. I parti, a due mesi dal concepimento, si chiamano infatti aborti.

Egitto, gli abbagli dell'Occidente

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