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Due nuove società, 22mila dipendenti e l’avvio delle attività all’inizio del 2014. I piani del presidente di Telecom, Franco Bernabè, dopo la decisione dello scorporo della rete sono questi, in attesa di maggiori dettagli sulla partecipazione della Cassa depositi e prestiti e della decisione sul valore della rete.

La separazione della rete in rame di Telecom Italia “avrà effetti positivi per la stessa Telecom Italia, per i suoi azionisti, ma soprattutto per il nostro Paese”, ha sottolineato Bernabè nel corso di un’audizione in Senato nelle commissioni Industria e Lavori Pubblici.

Opac e Ti ServiceCo

La separazione della rete di Telecom Italia porterà alla nascita di due società, da un lato la Newco della rete chiamata Opac e dall’altro TI ServiceCo “in cui rimarranno tutte le altre attività di Telecom Italia”, ha spiegato Bernabè. “TI ServiceCo acquisterà servizio all’ingrosso da Opac, fornirà servizi retail, nonché i restanti servizi all’ingrosso di rete fissa oltre ai servizi mobili”.

Il rilancio degli investimenti

Per Bernabè i benefici deriveranno in particolare da una “profonda riorganizzazione del settore con un rilancio degli investimenti in uno dei comparti più rilevanti per la modernizzazione”.

I dipendenti

La nuova società che nascerà dallo scorporo della rete di accesso di Telecom Italia avrà 22mila dipendenti. “In base alle prime stime – ha spiegato – Opac avrà circa 22mila dipendenti e una quota del debito organico sostenibile, alla luce di un piano di investimenti previsto in accelerazione e del ritorno atteso dagli investitori”. “Va chiarito – ha ribadito il presidente – che l’operazione non ha la finalità di migliorare la situazione debitoria del gruppo, ma ha l’obiettivo di migliorare la redditività degli investimenti infrastrutturali e sarà sostanzialmente neutrale dal punto di vista del rating”.

La tempistica

Telecom Italia si augura che l’iter regolamentare per la separazione della rete di accesso possa concludersi “entro fine 2013, inizio 2014, in modo da poter poi avviare tempestivamente l’operatività della nuova società”.

La valorizzazione della rete

“Servono due passaggi”, ha scritto sul Fatto Quotidiano Nicola D’Angelo, magistrato amministrativo e già componente dell’Autorità Garante per le comunicazioni. “Il primo è l’esatta valorizzazione dell’asset. Il calcolo del costo dell’operazione, secondo alcuni intorno ai 10 miliardi, non sta solo nell’infrastruttura in rame, ormai ammortizzata. Dipende invece dal perimetro della separazione, che comunque dovrebbe essere il più ampio possibile e comprendere anche le dorsali in fibra fino agli armadi in prossimità dei palazzi, le tubature in cui passano le reti, le ‘canalette’, le persone che lavorano in Telecom sulla rete”.

Il ruolo del governo

“La seconda cosa necessaria – prosegue l’ex commissario Agcom – è un forte impegno del governo e delle altre istituzioni, in particolare l’Agcom, nonché, ovviamente, l’accordo degli azionisti di Telecom. Quanto al governo, metta subito mano al problema. Il tempo stringe e se la cosa va fatta, la su faccia una volta non travolti dall’onda della necessità di far soldi per qualcuno e di evitare una tragedia occupazionale e tecnologica per altri. In un’idea di sistema non sarebbe male associare  all’occupazione anche le reti mobili (cioè impianti e frequenze). Andrebbe perciò favorita la creazioni di un ambiente interessato a uno sviluppo in termini di estensione e tecnologia, incentivando i servizi e i contenuti digitali. Compresi quelli televisivi, oggi recintati dai baroni dell’etere”, sottolinea D’Angelo.

Il ruolo della Cdp 

Quanto alla partecipazione della Cassa Depositi e prestiti, secondo D’Angelo “soluzioni pasticciate  che vedono il controllo ancora in capo a Telecom non hanno senso. Se la Cdp impiega i soldi dei risparmiatori lo deve fare per recuperare alla mano pubblica questa infrastruttura essenziale per il Paese”, conclude.

Telecom, i progetti in rete di Bernabè e le incognite sulla Cassa

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