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C’è un aspetto inconsueto nella condanna in primo grado a sette anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile nell’ambito del processo Ruby di Silvio Berlusconi. Un aspetto che giornalisti e commentatori non hanno mancato di evidenziare: la condanna comminata, sebbene al primo grado di giudizio, supera la richiesta del pm Ilda Boccassini.

NIPOTE DI MUBARAK?
Ad analizzare punto per punto le ragioni di un inasprimento della condanna è il Corriere della Sera, in un articolo di Luigi Ferrarella.
Secondo il giornalista, “il Tribunale trasforma “il vorrei ma non posso” della Procura in un perentorio “devi” trarre le conseguenze logiche degli atti”.
Pesa molto – si legge – che in Questura già dal tardo pomeriggio sapessero che Ruby era marocchina e scappata da una comunità di Messina, e che dunque fosse privo di fondamento il timore diplomatico (“Ruby egiziana e parente di Mubarak”) abbozzato a mezzanotte da Berlusconi per giustificare il proprio interessamento”.
“Nella filigrana dei 7 anni a Berlusconi – aggiunge Ferrarella – fa per converso risaltare la reale ragione dell’intervento notturno” dell’allora premier: “la paura che la mina vagante minorenne svelasse il giro di Arcore”.

NON POTEVA NON SAPERE
Per la firma del Corriere, “stessa consequenzialità muove il Tribunale nel segmento di condanna per prostituzione minorile del premier, per aver fatto sesso con Ruby sapendola minorenne”. Dati i “particolarissimi rapporti” che Emilio Fede e Lele Mora avevano con Berlusconi, i giudici hanno valutato che “non gli avrebbero potuto nascondere la minore età della ragazza che proprio loro avevano introdotto ad Arcore”.

L’USO DELLE INTERCETTAZIONI
Inoltre, sottolinea Ferrarella, il 6 ottobre 2010 Ruby, nello studio del suo legale di allora, Luca Giuliante, subì “un misterioso interrogatorio” per appurare con precisione “cosa avesse detto ai pm in estate”.
Questo, secondo il giornalista, “segnala che il Tribunale, tanto sulla minore età quanto sul compimento di atti sessuali sempre negati da Ruby, ha valorizzato le successive intercettazioni di Ruby e delle ragazze che proprio su quei temi palesavano l’allarme dell’entourage berlusconiano per quanto Ruby aveva potuto accennare in agosto ai magistrati”. Per il Tribunale, conclude Ferrarella, “va tratta la conseguenza logica su 32 testi ritenuti abissalmente difformi dal vero sia sulle “cene eleganti” sia sulla notte in Questura“. Testi, in parte “stipendiate a 2500 euro al mese” e in parte “parlamantari del Pdl”. Caratteristiche che li renderebbero inaffidabili.

Processo Ruby, sentenza di primo grado (fonte video: Tg1)

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