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Le proteste sotto al Cristo Redentore? Basta qualche numero per spiegarne il perché. La crescita del Paese è stata del 7,5% nel 2010, del 2,7% nel 2011 e dello 0,9% nel 2012. L’associazione mentale è palese per il politologo presidente di Eurasia Group, Ian Brenner.

L’ascesa della classe media

Le proteste che animano oggi le strade del Paese, evidenzia il Financial Times, rappresentano solo una versione nazionale delle insurrezioni che stanno infuocando tutta l’America Latina, nonostante un decennio di forte crescita economica e di una disoccupazione in calo. Secondo gli analisti, il movimento riflette l’ascesa di una classe media sofisticata, più grande e forte, che può ora permettersi di chiedere servizi pubblici migliori, prezzi più bassi e una classe politica meno corrotta. “Gli ultimi dieci anni sono stati segnati da una forte crescita della classe media, e i sondaggi mostrano come questi segmenti della popolazione vogliano ora servizi pubblici migliori”, ha spiegato Chris Garman di Eurasia Group.

Il crollo di Rio

D’altra parte, sottolinea l’Economist, Rio De Janeiro è la prova che anche le benedizioni della natura non garantiscono il successo. Rio ha perso il suo status di capitale politica nel 1960, quando è stata spostata a Brasilia, e quello di capitale economica-finanziaria, primato rubatole da San Paolo. Le guerre di clan e le scarse infrastrutture hanno ostacolato l’ascesa della sua industria turistica. Le Olimpiadi del 2016 rappresentano l’occasione d’oro per rimettere la città in prima linea. Ma Rio riuscirà a sfruttarla a pieno?

Un Brasile tutto rosa

Il Brasile ha un presidente donna, Dilma Rousseff, e rosa è il 26% dei seggi in Parlamento. L’ad di Petrobas, Maria das Graças Foster, è l’unica donna alla testa di una compagnia petrolifera mondiale. Secondo quanto riporta la società di consulenza Grant Thornton, il 27% dei senior manager brasiliani è donna, contro la media globale del 21% (in Svezia il 23%, il Gran Bretagna il 20% e negli Usa il 17%). Forbes stima che il 20% dei miliardari del Paese sono donne, esattamente il doppio delle previsioni a livello globale. La forza lavoro femminile brasiliana è del 59%, del 52% in Francia e del 57% nel Regno Unito. Il che spiega anche la grande ascesa rosa nel Paese, che dispone di circa 7 milioni di collaboratori domestici, per lo più donne.

Crescita a due cifre? Ricordo del passato

Nonostante tutto, il Brasile ha vissuto un ultimo biennio di crisi rispetto alla foga economica che ha sostenuto la sua crescita fino al 2010. La reazione del governo? Un aumento sostanzioso della spesa sociale, che il giornale della City non esita a bollare come fallimentare, dettando così la strada anche ai Paesi avanzati in cui le teorie keynesiane sul moltiplicatore della spesa pubblica animano il dibattito politico-economico e continuano a rappresentare l’alternativa all’austerity che ha strozzato, e strozza ancora, l’Europa.

I piani assistenziali del governo

Annunciato in pompa magna dal presidente Rousseff, il piano governativo “My better Home” è considerato dagli economisti come l’ultimo degli stimoli fiscali a un’economia che lotta per mantenere tassi di crescita elevati. Il piano consiste in una linea di agevolazioni creditizie per i cittadini per un totale di oltre 2.300 dollari (5000 real brasiliani) per l’acquisto di nuovi elettrodomestici.

La sostenibilità economica dei programmi governativi

Quello che preoccupa è che il programma arriva dopo due anni di provvedimenti simili, che sono costati finora allo Stato circa 300 miliardi di real, senza riuscire a stimolare in modo consistente la ripresa economica. Quanti altri piani simili potrà ancora permettersi Brasilia?

Surplus in calo, debito in aumento?

Questi piani stanno erodendo il surplus fiscale primario brasiliano, in calo (cioè il surplus di bilancio a netto dei pagamenti per interessi), scatenando i timori degli economisti. E’ per questo motivo che Standard & Poor’s ha deciso di rivedere al ribasso l’outlook del rating per il Paese.
“Il trend è molto chiaro, c’è un calo dell’avanzo primario”, ha spiegato al Financial Times Alberto Ramos, economista di Goldman Sachs. “La domanda ora è: è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci?”. Secondo Ramos sì, i rischi ci sono. Il Pil brasiliano è cresciuto del 7,5% nel 2010, ma nel 2012 la crescita è stata solo dello 0,9%, il peggior risultato dal 2009.

Le presidenziali del 2014

Il surplus primario nel 2012 è stato del 2,4% e si stima un calo all’1,5% nel 2013, secondo Itaú-Unibanco. Con le presidenziali nel 2014, si prevede un aumento di spesa pubblica quest’anno, il che potrebbe far calare l’avanzo primario allo 0,9% nel 2014. Secondo gli economisti un avanzo primario inferiore all’1,5% significa che il Brasile ricomincerà ad accumulare nuovo debito pubblico, che è oggi il 35,2% del Pil.

Il peggioramento dell’outlook del Paese dovrebbe fungere da campanello d’allarme sull’importanza della disciplina fiscale per il Paese. Le cifre, naturalmente, fanno ridere rispetto a debiti come quello italiano o giapponese, ma se il Brasile vuole restare la spiaggia sognata anche a livello finanziario, le esigenze degli investitori vanno rispettate e riverite, nel grande hotel della finanza. La festa per ora continua, almeno dentro al Maracanà.

 

Brasile, il miracolo economico è già finito?

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