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C’era una volta il movimento pacifista, racconta a Formiche.net a proposito dei moti di Gezi Park Michele Magno, già dirigente sindacale e politico nella Cgil e nel Pci, ora editorialista e saggista, e studioso di Ataturk. Magno analizza i riverberi di quella protesta di ieri, attualizzandone contenuti e stimoli sulla scorta di quanto sta accadendo in Turchia in questi giorni.

Erdogan e la Turchia, ma anche Assad e la Siria. C’era una volta il movimento pacifista…, si potrebbe dire.
Penso al movimento pacifista nato e sviluppatosi in Occidente negli anni Ottanta. Era nato come una costola della sinistra più radicale in funzione antiamericana, questo il dato di fondo.

E come si è evoluto?
C’è stata la parola d’ordine “yankee go home”, ma poi il movimento non ha più trovato una ragione d’essere fondante. E si è tramutato in quello che oggi definiamo movimento no global, in quella galassia di pulsioni di protesta. Ma il dato di fatto è che dall’intera area orientale, quindi dalla questione tibetana a quella turca, non si è sviluppata in Occidente nessuna mobilitazione popolare più o meno guidata dalla sinistra, in difesa della democrazia e dei diritti umani. E che ieri erano le parole d’ordine di quell’iniziativa pacifista.

Marcello De Angelis, da queste colonne, ha osservato che quella turca non è una primavera: è così?
Occorre ricordare alcuni passaggi. La vittoria di Kemal Ataturk che ha portato la modernizzazione della Turchia, la sconfitta dell’islamismo e la costituzione della prima democrazia laica in un Paese sotto la forte influenza islamica, non rappresenta il definitivo accantonamento dell’islamismo turco. Ataturk ha modernizzato sì la democrazia laica, ma l’islamismo è stata sempre una componente fondamentale della cultura e degli interessi turchi.

Erdogan ha proseguito in quel solco?
Il suo tentativo è sotto gli occhi di tutti: prima in maniera strisciante, poi con una marcia progressiva, adesso in forma clamorosa come si evince dalle proteste, intende riaffermare un sistema politico basato sulla teocrazia religiosa. Ha iniziato con piccole misure, il divieto di bere birra, di scambiarsi effusioni per strada, ovvero una nuova moralità islamica di cui si intuisce chiaramente il senso di marcia.

A cosa mira?
Quando dichiara di disinteressarsi del Parlamento europeo, segna una svolta: significa che non guarda più all’Europa ma sposa l’interesse di diventare una potenza regionale egemone.

Come si intrecciano la questione siriana e le cosiddette lobbies degli interessi bancari con la richiesta di più diritti fatta da Gezi Park?
Gli analisti adoperano criteri classici della real politik, riferendosi agli scontri degli ultimi giorni e non parlano neanche dei diritti per quanto concerne, ad esempio, la Cina. Per cui non vi è dubbio che ci sia stato un decadimento, che definirei anche etico, nell’analisi delle contraddizioni di quell’aria. Tutto è ridotto agli interessi economici. Invece Erdogan per consolidare il proprio potere fa leva sul risveglio di pulsioni islamiche, per definizione ostili ai canoni della democrazia occidentale che si basano anche sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani e di quelli individuali.

twitter@FDepalo

Erdogan e la Turchia, Assad e la Siria. C'era una volta il movimento pacifista...

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