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Tre proposte presentate da Partito democratico, Cinque Stelle e Confesercenti puntano a disciplinare giornate e orari dei negozi attenuando gli effetti delle liberalizzazioni di Bersani e Monti.

Il vento del mercato e della concorrenza che soffiava potente ha dunque perso la sua spinta propulsiva? Complice la crisi economica, il clima è di sicuro mutato. E anche nei settori come il commercio che, dal 2006, avevano visto abbattere vincoli e barriere è in atto un riflusso culturale.

Ci sono due proposte di legge presentate alla Camera dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito democratico, e una legge di iniziativa popolare promossa da Confesercenti. Tutte finalizzate a cambiare la filosofia che aveva ispirato il decreto “Salva Italia” del governo Monti.

Le “lenzuolate” di Bersani e l’apertura totale del decreto Monti

Un provvedimento che, in coerenza con le regole Ue in tema di prestazione dei servizi, aveva liberalizzato gli orari di apertura e chiusura delle attività commerciali in forma permanente, in tutto il territorio nazionale e non soltanto nelle località turistiche e d’arte. Superando così i vincoli delle festività domenicali e della mezza giornata di interruzione infrasettimanale. Freni che le “lenzuolate” portate avanti da Pier Luigi Bersani nel 2006 e nel 2007 non erano riuscite a rompere. Il decreto legge promosso dal responsabile per le attività produttive del secondo governo Prodi aveva accresciuto la concorrenza tra gli esercenti, ridotto il potere discrezionale della pubblica amministrazione, riconosciuto una più ampia possibilità di scelta ai consumatori. L’operazione era stata resa possibile grazie all’abrogazione dell’iscrizione a registri di abilitazione e al possesso di requisiti professionali per l’esercizio di attività commerciali; del rilascio di licenze da parte delle Camere di commercio per l’apertura, il trasferimento e la trasformazione dei panifici; dell’obbligo di distanze minime fra negozi che vendono lo stesso prodotto e delle limitazioni quantitative della merce presente; del rispetto di quote di mercato predefinite; del bisogno di autorizzazioni preventive e limiti di tempo per effettuare promozioni e sconti. Ma non avevano intaccato le rigidità relative ai giorni e agli orari di apertura e chiusura dei negozi, superate quattro anni più tardi.

Le correzioni anti-liberiste nei tre progetti

La proposta più radicale è l’iniziativa popolare presentata da Confesercenti, che punta a restituire alle regioni e ai comuni in accordo con le associazioni di esercenti e consumatori la competenza a regolamentare lavoro e orari sulla base delle necessità dei territori. Perché “l’assoluta liberalizzazione mette a rischio la sopravvivenza dei negozi al dettaglio soverchiati dagli operatori della grande distribuzione, che a differenza degli esercizi a conduzione familiare possono usufruire del turn-over del personale. E perché la spinta a una maggiore apertura del mercato non può negare i valori etici appartenenti a un patrimonio sociale collettivo, che si manifestano nelle feste religiose e civili, nel diritto al riposo dei lavoratori, nella partecipazione alla vita di famiglie e comunità”. Un richiamo alla normativa precedente anima il progetto dei parlamentari Cinque Stelle, che riserva la liberalizzazione completa solo ai centri turistici e d’arte, e conferisce agli enti locali una disciplina dei giorni di apertura basata su turni di rotazione per le domeniche e le altre festività, oltre che sulla disponibilità del 25 per cento di ogni tipo di merce. Più prudente il disegno di legge promosso dal Pd, che mira ad attribuire ai comuni la predisposizione e il coordinamento di un “piano territoriale triennale” previa consultazione con le organizzazioni di commercianti e utenti. “Lo scopo è garantire una piena e costante fruibilità dei prodotti da parte dei cittadini nel rispetto dei diritti di lavoratori”.

La reazione della grande distribuzione

Se il destino parlamentare delle tre iniziative è nebuloso, le reazioni suscitate sul piano sociale sono molto vivaci. L’universo della grande distribuzione è in fermento, in tutte le sue variegate articolazioni. Federdistribuzione – che comprende marchi come Esselunga, Auchan, Carrefour, Pam – rivendica per bocca del suo presidente Giovanni Cobolli Gigli il gradimento da parte dei consumatori dell’apertura promossa da Monti: “Grazie alle vendite domenicali, che hanno portato sui banchi dei supermercati 8 milioni di italiani in più, abbiamo realizzato un aumento del 5 per cento di ore lavorare con una proiezione su base annua di 244 milioni di euro di retribuzioni”. Sulla stessa trincea si attestano Federalimentare, Conad e una parte delle Coop. Ben diverse la valutazioni fornite da Confesercenti, il cui Osservatorio stima per il 2013 un bilancio in passivo di alimentari, bar, ristoranti, negozi di abbigliamento: -4.701 unità, un calo del 3 per cento annuo.

Commercio, Pd e 5 Stelle alleati per smontare le liberalizzazioni di Bersani e Monti

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