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Il fantasma della guerra in Iraq si è materializzato a Londra. Il leader dei laburisti, Ed Miliband, ha voluto esorcizzare la lezione lasciata da Tony Blair, il leader che l’Italia e l’Europa ricordano per le sue innovazioni ma che la sinistra inglese detesta per l’alleanza che strinse con Bush jr per ribaltare il regime di Saddam Hussein. La pistola fumante che allora fu presentata da Colin Powell non servirà più, almeno in Gran Bretagna. Il parlamento ha infatti bocciato l’eventualità di una partecipazione militare al fianco degli Usa contro Bashar al Assad.

Cameron è fuori gioco e Obama più solo. La reazione americana è stata politicamente correttissima ma non vi sono dubbi che questa novità (imprevista) pregiudica – e non poco – l’architettura dell’intervisto previsto. Gli Usa hanno certamente le forze per muovere autonomamente ma c’è ormai in tutta evidenza un problema politico circa il consenso internazionale, e interno, su questa iniziativa che comunque si presenta come obbligata per Obama (era stato lui a parlare delle linee rosse invalicabili). E si tratta di una difficoltà in più sul piano tattico-organizzativo.

L’efficacia dell’attacco che vorrebbe essere lampo rischia di essere vanificata o sensibilmente ridotta. La finestra per un possibile lancio di missili contro gli obiettivi sensibili si è molto ristretta. Lo spazio si è ridotto all’intervallo fra questo sabato (dopo che gli ispettori Onu avranno concluso la loro missione) ed il prossimo fine settimana quando, a San Pietroburgo, i 20 leader mondiali si incontreranno in un faccia a faccia particolarmente teso.

Se l’arco temporale è stretto, le cose non vanno meglio dal punto di vista militare. L’indecisione occidentale unita all’effetto annuncio della guerra sta consentendo ad Assad di avere un vantaggio inatteso potendo disporre meglio le sue difese (capacità questa non irrilevante) e muovendo gli arsenali dai siti che sarebbero stati individuati dall’intelligence degli Usa e degli alleati. Non solo. La Russia sta muovendo verso il Mediterraneo altri mezzi navali che oltre a rappresentare un deterrente per gli americani costituisce sicuramente una ulteriore difficoltà logistica tenuto anche conto che non potranno essere utilizzate le basi inglesi a Cipro e gli stessi mezzi che avrebbero messo a disposizione i britannici. Il quadro complessivo attorno alla Siria si sta tingendo di toni foschi che arrivano a lambire il cuore di Washington dove i media già parlano di intervento “unilaterale” con sommo gaudio dei Repubblicani che possono vendicare le accuse rivolte contro la presidenza Bush. Il ministro della Difesa Chuck Hagel per la verità continua a insistere sulla volontà di ricercare un ampio sostegno internazionale ma le condizioni generali non sono favorevoli.

L’Europa aveva manifestato, al netto di Francia e Polonia, molte perplessità sull’accelerazione Usa e già sembra di cogliere il ghigno di qualche governante che vorrebbe sussurrare “l’avevo detto io..”. La verità, purtroppo, è che questa involuzione mette sì in imbarazzo estremo l’amministrazione Obama ma rende ancora più chiara la fragilità ormai intrinseca dell’Occidente che plaude a Wikileaks o alle gesta di Snowden ma poi non sa, o non può oppure non vuole, censurare le violazioni dei diritti civili minimi in Russia o in Cina, gli attacchi con le armi chimiche in Siria, le minacce antisioniste dell’Iran e così via.

Qualcuno, anzi più d’uno, in Italia potrebbe persino da festeggiare. Dovremmo invece avere la calma e la freddezza di fermarci a ragionare, a pensare senza pregiudizi e senza farci condizionare da quella che è stata la nostra posizione solo fino a pochissimo tempo fa. Sta cambiando tutto e non possiamo far finta di non vedere o presumere che tutti i guai possano essere lasciate nelle mani, non sempre abili, degli Stati Uniti.

Siria, Obama si ritrova con il cerino in mano ma l'Europa...

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