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“La critica in astratto è corretta”. Con queste parole il Ministro del lavoro, Enrico Giovannini, risponde alle critiche degli economisti che considerano inutili le misure del decreto lavoro.  Il ministro aggiunge che questa volta, però, le cose sono diverse. Le imprese che utilizzeranno lo sgravio contributivo totale, infatti, dovranno obbligatoriamente aumentare l’occupazione. In altre parole, il bonus scatta per i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato e per le aziende che intendono trasformare un contratto in essere diventa obbligatorio fare una nuova assunzione.

Questa spiegazione del Ministro, che si avventura in previsioni di riduzione della disoccupazione giovanile di 2 punti percentuali grazie a tali misure, in realtà non spiega nulla. Anzi. Il risultato pratico delle agevolazioni non creerà nessun nuovo posto di lavoro. Semplicemente, le aziende che avevano già in conto di realizzare un’ assunzione (si presume, in generale, che parliamo di aziende sane o comunque non in serie difficoltà) per esigenze produttive, usufruiranno del regalo concesso dal Governo. Il meccanismo si capovolge: le aziende non assumono grazie all’agevolazione contributiva concessa, ma per esigenze di organico e produttive che prescindono dall’agevolazione. Risultato: un bel regalo proprio a quelle aziende che, forse, ne avrebbero meno bisogno in questo momento.

L’altra illusione riguarda la pausa tra un contratto a termine e l’altro che è stata portata a 10 giorni per quelli sotto i 6 mesi e a 20 giorni per i contratti annuali. La legge 92 del 2012 li aveva estesi rispettivamente a 60 e 90 giorni. Anche qui, nessuna novità. Già la Legge Fornero, infatti, prevedeva che le parti sociali tramite un accordo nazionale potevano riportare gli intervalli tra i contratti a tempo determinato ai periodi pre-riforma. Tant’è vero che nel settore del Turismo ci fu quasi subito un accordo nazionale in tal senso.

Sulle agevolazioni ai tirocini, seppur molto importanti, non aggiungo nulla perchè non si tratta di posti di lavoro.

E veniamo alle misure ottenute dall’Ue grazie anche all’attivismo del nostro Premier. Tutto ruota intorno al programma Youth Guarantee che consiste in una dote di 9 miliardi, a fronte dei 6 previsti, a disposizione dei paesi con una disoccupazione giovanile sopra la soglia del 25 per cento. L’Italia, ovviamente, sarà uno dei principali beneficiari. Il premier Letta ha guidato la battaglia, vinta, per ottenere queste risorse anticipate nel biennio 2014-2015 e non come previsto inizialmente nel periodo 2014-2020.

Avremo, così, a disposizione 1,5 miliardi per il lavoro giovanile, triplicando i circa 500/600 milioni ipotizzati. Per fare cosa? Il programma prevede per i giovani fino a 25 anni (per l’Italia probabilmente fino a 29 anni) che entro 4 mesi dall’uscita del percorso di studi vengano inseriti nel mondo del lavoro tramite un’assunzione, un tirocinio o un contratto di apprendistato oppure svolgano un corso di formazione professionale che faciliti la collocazione. Chi se ne dovrebbe occupare? In Italia i Centri per l’impiego pubblico che ad oggi non collocano quasi nessuno. Secondo l’ultima rilevazione dell’Isfol, infatti, i centri per l’impiego intermediano circa il 3 per cento del mercato del lavoro. E’ facile prevedere, che tutto si risolverà in una bolla di sapone, finché non si arriverà ad una profonda riforma di questi centri. Oppure, ci sarà una grande abbuffata di corsi di formazione che faranno la felicità soprattutto dei formatori piuttosto che dei formati. Su questo bisognerà vigilare con molta attenzione. A futura memoria.

Ecco perché parlo di illusione. Il premier Letta sta utilizzando i temi del lavoro come arma di marketing politico. La ragione è semplice. Le misure più importanti sul lavoro che dovrebbe prendere sono, ad oggi, impedite. Il taglio del cuneo fiscale prevede diversi miliardi di budget (molti di più dei 5 miliardi spesi dal Governo Prodi) per essere efficace e la riforma delle politiche attive del lavoro, oltre a risorse (proprio il ministro Giovannini ci ricorda che Francia e Germania spendono 5 miliardi per aiutare le persone a trovare lavoro, contro i 500 milioni “nostrani”) richiede anche tempi non immediati. Allora, l’unica cosa che poteva inventarsi per dare risposte immediate sul lavoro, vera emergenza nazionale, e non essere accusato di immobilismo, erano provvedimenti di facile attuazione e manipolazione.

Ovviamente, non bisogna sminuire l’importante risultato ottenuto in Europa sul miliardo e mezzo in due anni per le politiche di collocazione dei giovani. Tuttavia, prima di cantar vittoria, bisogna vedere come verranno spese queste risorse e se permetteranno di rilanciare sul serio le politiche attive del lavoro, non solo per i giovani, ma per tutte le fasce di età.

Una nota positiva, tuttavia, va aggiunta. Diversi provvedimenti contenuti nel decreto del Fare sono certamente più efficaci per la crescita delle imprese e dell’occupazione in quanto spingono verso gli investimenti, l’accesso al credito e il sostegno alle nuove imprese. Questa è la strada vera per creare nuova occupazione e sulla quale bisognerebbe concentrarsi. Ma la popolarità, probabilmente, non passa da qui.

Il Governo Letta e la politica dell’illusione (e di marketing) sul lavoro

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