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La Cina è in fibrillazione. Un sintomo che in questi giorni si sta diffondendo non solo a Pechino. Lo slalom delle banche centrali, tra valanghe di liquidità che hanno invaso i mercati e frenate brusche, anche solo minacciate, tiene col fiato sospeso gli operatori su entrambe le sponde del Pacifico. Ma mentre una stretta della Fed americana, oggi, sembra uno scenario poco realistico, la Cina è già piombata nel panico da credit-crunch.

Le mosse di Pechino

La PBoC (People’s Bank of China, la Banca centrale cinese), ha rifiutato di finanziare ulteriormente il sistema finanziario, mettendo sotto pressione gli istituti di credito troppo esposti. Il tasso interbancario a breve termine, spiega il Financial Times, è schizzato di oltre 200 punti base, toccando il suo record, con un aumento dell’8% rispetto al mese scorso. La ragione principale di questa stretta creditizia sta nella riluttanza della Banca centrale ad iniettare nuova liquidità nei mercati finanziari, prendendo in contropiede le banche che si aspettavano un sostegno ancora forte da parte di Pechino, proseguendo la strategia che ha fatto riempito di entusiasmo, e di plusvalenze, gli operatori di mercato del Paese.

Il contenimento del credito

Il credito totale cinese ha toccato il 22-23% quest’anno, segnando un più 20% dal 2012 dopo la stretta normativa per regolamentare e limitare il settore delle shadow bank. Wang Tao, economista di Ubs, ha spiegato al quotidiano della City che l’obiettivo della Banca centrale potrebbe essere quello di riportare l’offerta di credito al 17-18%, limitando esposizione bancaria e indebitamenti nel Paese.

Meno capitali in entrata

La pressione dei grandi istituti di credito cinesi sulla banca centrale, sottolinea il Wall Street Journal, aumenta di pari passo con il rallentamento dell’afflusso di capitali stranieri.

I numeri della liquidità in frenata

Qualsiasi tipo d’intervento della Banca centrale, le cui mosse, a differenza della Bce, dipendono dalle scelte del governo di Pechino, manderà un segnale chiaro ai mercati: o si tengono le redini della crescita economica o quelle della disciplina sulle piazze finanziarie. Le società straniere nel frattempo anticipano le mosse della PCoB, evitando di acquistare troppi yuan. Il finanziamento totale al mercato, compreso quello alle banche e ai canali di credito alternativi, è crollato di un terzo a 1,19mila miliardi a maggio da aprile.

Che gli addii siano dolorosi si sa, a maggior ragione quelli dai cuscini delle politiche monetarie morbide della seconda economia al mondo in fase di rallentamento. Una scossa di cui potrebbe giovarsi la Fed statunitense. Non male lo scenario che si apre di fronte al governatore, Ben Bernanke, che potrebbe decidere di lasciare ancora i rubinetti aperti, approfittando dell’afflusso di capitali negli Usa e del calo dei rendimenti dei titoli di Stato.

Piange Pechino, non troppo Washington.

La Bank of China mette a dieta le banche cinesi

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